La proposta di ridurre l’Iva per incrementare i consumi e aiutare a rimettere in moto l’economia è al centro di un vivace dibattito, anche su queste colonne. In linea teorica, cioè in una situazione di sotto vuoto, l’iniziativa appare lineare: riducendo l’imposta si riduce il prezzo del prodotto, di conseguenza si spingono i consumatori a maggiori acquisti, generando così introiti per il commercio, messo in crisi dalla pandemia, e per i produttori che, esaurendosi le scorte accumulate durante la crisi, potrebbero riprendere i ritmi normali di produzione.
La realtà è però un po’ più complicata, a partire dall’entità ottimale di questa riduzione. Come afferma Ciro Acampora nel suo articolo, effetti consistenti si avrebbero solo con un’Iva dimezzata, che determinerebbe un aumento reale degli acquisti, ricuperando così una parte del costo dell’operazione. Dei semplici ritocchi sarebbero ininfluenti e determinerebbero solo ulteriori aggravi burocratici.
Un altro aspetto rilevante è su cosa applicare la riduzione, se su tutti i beni o principalmente su alcuni settori, quelli più colpiti dalla crisi, aumentando l’efficacia dell’intervento, come sottolinea Luigi Campiglio. Scelta non semplice, condizionata oltretutto dal peso anche politico che i diversi settori hanno, e che pone comunque elementi di discriminazione in una crisi che ha colpito l’intera nazione. Altrettanto si potrebbe dire se queste misure fossero limitate alle regioni più colpite dal coronavirus, come Lombardia o più in generale il Nord. Immaginabili le reazioni nel resto dell’Italia.
Campiglio, inoltre, pone giustamente in evidenza il rischio di favorire settori in cui è diffusa l’evasione all’Iva, un rischio che potrebbe essere diminuito escludendo i pagamenti in contanti. Uno degli effetti della riduzione dell’Iva, però, è di aiutare le classi meno abbienti, proprio quelle che avrebbero maggiori difficoltà a utilizzare la moneta elettronica. Si potrebbe, peraltro, limitare le riduzioni ai soli beni di prima necessità, pagati anche in contanti. Anche qui sorge un problema, perché uno dei fattori portanti della nostra economia è il cosiddetto “Made in Italy”, per la maggior parte non proprio attribuibile a beni di prima necessità.
La questione del “Made in Italy” evidenzia un altro aspetto. La riduzione dell’Iva è un costo per lo Stato, che verrebbe tuttavia ripagato dal sostegno alla produzione, se questa avviene in Italia. Il che porterebbe a escludere i beni prodotti fuori del territorio nazionale, non fattibile all’interno dell’Ue e configurabile come un dazio nascosto per i prodotti extra Ue, foriero di spiacevoli ritorsioni.
Non c’è quindi nulla da fare? Può venire in soccorso una frase attribuita a Voltaire: il meglio è il nemico del bene. In attesa di tutte le riforme di sistema giustamente invocate anche in questa occasione, si veda l’intervista a Nicola Rossi, ma che sono giacenti ormai da decenni e che è improbabile siano effettuate da questo Governo, si può fare qualcosa, purché sia fatto subito.
Un esempio, espresso in termini puramente indicativi, quindi approssimativi. Un intervento sull’Iva potrebbe essere attuato in uno dei settori più colpiti e rilevanti nella nostra economia, quello del turismo. Il provvedimento andrebbe applicato immediatamente, data l’importanza della stagione estiva per il settore, stabilendo dei tetti per una serie di spese, come quelle alberghiere, della ristorazione, degli impianti in montagna o dei bagni al mare, relative alle seconde case e via dicendo. I fornitori fatturerebbero regolarmente, ma i fruitori potrebbero detrarre, o dedurre, totalmente o in parte considerevole l’Iva nella prossima dichiarazione. Si ridurrebbero così anche le propensioni all’evasione.
L’attuale crisi potrebbe essere l’occasione per risolvere un annoso problema: il versamento dell’Iva da parte del fornitore anche nel caso di fattura non pagata. Un primo passo sarebbe lo spostamento del versamento dell’Iva allo Stato al momento dell’incasso e non della fatturazione, tanto più che ci si può aspettare un aggravamento nei già lunghissimi tempi di pagamento. Un fatto, questo, che ci mette ai margini dell’Ue.
Più in generale, quindi non solo per l’Iva, potrebbero essere eliminati tutti i vincoli burocratici alla compensazione tra debiti e crediti verso lo Stato, da attuare immediatamente e includendo nella compensazione anche le fatture ancora non pagate per lavori e servizi forniti alla Pubblica amministrazione. Altro caso critico nei confronti del resto dell’Europa.
Come detto, indicazioni approssimative, ma che gli apparati ministeriali potrebbero rendere puntuali ed esecutivi in tempi brevi, se fossero guidati da deliberazioni concrete del Governo e non da dichiarazioni mediatiche o scenografici raduni.