Uno non vale uno. Almeno questa certezza possiamo darla per acquisita dopo l’esperienza terribile e speriamo irripetibile del Covid-19. Nel momento estremo del bisogno si sono viste e ricercate le differenze: competenti da una parte, incompetenti dall’altra. Ed è anche maturata la vendetta dell’informazione tradizionale, su carta, rispetto a quella digitale abitata da troppi improvvisati con licenza di uccidere.
La domanda che ci dobbiamo porre è come sia stato possibile anche per un solo momento che passasse per buono il principio contrario, quell’uno vale uno in base al quale si è consumata una vera e propria rivoluzione politica con la rimozione dei valori dello studio e dell’impegno. L’esperienza vissuta come un ingombro, l’ignoranza celebrata come condizione essenziale per prendere decisioni.
Che la formula magica (malefica) sia servita a qualcuno per scalare posizioni sociali altrimenti interdette è chiaro ed evidente. Il problema non è che sia stata usata in forma strumentale per conquistare un potere di per sé traballante. Quello che sconcerta è che il messaggio abbia raggiunto il suo scopo, che un pezzo grande del Paese ci si sia identificato, che a un certo punto sembrasse verità acquisita.
Il sonno della ragione ha sempre generato mostri. E ciò che è accaduto in Italia ne è l’ennesima dimostrazione. Di fronte al dilagare del virus populista in troppi, anche per motivi d’interesse personale, hanno preferito assecondare l’insorgenza della pandemia piuttosto che contrastarla e debellarla prima che mietesse troppe vittime. Sono saltate le difese immunitarie, ci siamo miseramente ammalati.
La minaccia del coronavirus ci ha risvegliati dall’incantesimo. Ci ha ricondotti al senso della realtà. Ci ha ricordato che se vogliamo salvare le nostre vite dobbiamo metterci in mani competenti (almeno abbiamo il dovere di provarci) diffidando dei suonatori di piffero e delle loro traiettorie spericolate. Certo, anche gli esperti con le loro brave liti hanno mostrato dei limiti ma almeno il loro ruolo è stato riabilitato.
Ora che l’antidoto è stato ritrovato sarebbe utile fosse adottato in ogni ambito della vita pubblica. Non basta fermarsi in superficie per provocare un cambiamento apprezzabile nelle scelte e nei comportamenti. Occorre che il convincimento percoli giù giù attraverso tutti gli strati della società fino a raggiungere ogni singolo ganglio vitale. Perché sia davvero primavera tutti i fiori dovranno sbocciare.
Non sfugge più a nessuno che i centri deputati a estrarre la medicina che ci guarirà sono quelli della formazione: scuole e università, certo, senza dimenticare i luoghi di lavoro. Il punto non è quindi chiedersi dove concentrare l’attenzione, ma come farlo. Per il nuovo umanesimo tanto invocato, anche in economia, occorrono uomini nuovi (e donne, naturalmente): addottrinati ma non solo, soprattutto consapevoli.
Il trasferimento della conoscenza, del puro sapere, dovrà essere corroborato dal buon esempio. Più che di professori avremo bisogno di maestri e dovremo coltivare discepoli più che allievi perché il passaggio di testimone non si riduca a un fatto meccanico. Si dovrà parlare alla testa e al cuore dei giovani ai quali affidare il nostro futuro. E questa sarà la sfida più difficile, e cruciale, che dovremo affrontare.