BUENOS AIRES – Pare incredibile, ma nonostante l’Argentina e l’Uruguay abbiano una storia alquanto simile e siano abitate da una maggioranza di persone che hanno in comune la massiva immigrazione del secolo scorso, basta attraversare i circa 30 chilometri dell’estuario del Rio della Plata che separano Buenos Aires da Montevideo per avere l’impressione di aver viaggiato tra pianeti invece che nazioni.
E così mentre in Argentina il Governo kirchnerista (ormai l’hanno capito tutti) di Alberto Fernandez non sa che pesci pigliare e decide di tornare alla fase 1 della quarantena, prolungandola di 15 ulteriori giorni (ma a questo punto è ragionevole pensare in eterno) per la semplice ragione di permettere allo Stato di organizzarsi per affrontare l’altrettanto eterna attesa esplosione del Covid-19 nel Paese (cosa che fa pensare che in questi quasi 4 ultimi mesi di quarantena strettissima non si sia partorito un piano per affrontare la situazione), mentre il Presidente, attraverso decreti di necessità e urgenza, inventa espropri, misure restrittive per un’economia già distrutta e addirittura, attraverso la Banca centrale, autorizza l’emissione di una quotazione del dollaro riservata esclusivamente ai figli e nipoti dei desaparecidos, con possibilità illimitate sia di cambio che di esportazione della valuta (trasformandoli in pratica in clandestini autorizzati ad esportare valuta), la vicepresidente Cristina Kirchner si duplica lo stipendio e fa avere la pensione a un ex vicepresidente agli arresti domiciliari per frode, sull’altra sponda del fiume il “neoliberista” Presidente uruguaiano Luis Alberto Lacalle Pou, al contrario del suo dirimpettaio populista, diminuisce gli stipendi di tutto il mondo politico, i livelli di tassazione e incrementa piani di esenzione fiscale a chi, cittadino o imprenditore, decide di trasferirle sue attività in Uruguay.
Il bello è che, particolare di grande importanza, la curva del contagio del coronavirus si è talmente appiattita che dal 21 maggio hanno riaperto le scuole elementari in un Paese ormai tornato alla normalità: con 919 casi confermati, di cui 818 guariti e 26 decessi, l’Uruguay, senza istituire nessuna zona rossa o una quarantena totale, sta tornando alla vita di tutti i giorni.
Ma qual è il segreto di un simile miracolo? L’epidemiologo che integra il comitato che accompagna le decisioni presidenziali sul caso (quindi non una task force composta solo di infettivologi come in Argentina), il Professor Julio Vignolo, ha considerato 3 punti importanti nella strategia per far fronte al virus. In primo luogo, importantissima, la rapida reazione quando si scoprirono i primi 4 casi, con la totale chiusura delle frontiere e la dichiarazione di emergenza sanitaria lo stesso giorno. La riduzione immediata del 75% dell’attività pubblica ha in pratica bloccato la diffusione, calcolando anche un altro elemento importante che è la bassa densità di popolazione in uno Stato che ha solo 3,4 milioni di abitanti senza grandi insediamenti urbani.
Come in Argentina la maggior parte della popolazione ha seguito le indicazioni, ma al contrario che nel Paese kirchnerista, abituati a rispettare la democrazia, in Uruguay non si sono aperte zone franche dove nessuno controllava il rispetto della quarantena. Ed è per questa ragione che nei quartieri più poveri del Gran Buenos Aires si sono creati dei focolai che hanno poi prodotto un aumento considerevole (ben lontano anni luce da quello del Brasile, per esempio) dei contagi.
“Non bisogna cadere nel trionfalismo – afferma Vignolo -, bisogna essere prudenti e cauti perché ora che abbiamo ristabilito tutte le libertà di movimento può anche accadere un ritorno del virus, ma saremo pronti ad affrontarlo come lo abbiamo fatto finora”.
Intanto prevedendo l’ormai certa deriva populista del kirchnerismo, molti argentini di classe media stanno iniziando le pratiche per fuggire in Uruguay da un Paese che non ha mai saputo imparare dalle lezioni che la storia gli ha fornito.