Cristiani perseguitati in Cina e in molte parti del mondo, ma non se ne parla a sufficienza. Le testimonianze dirette di chi è stato torturato sono allora utili per squarciare quel velo che ancora copre la verità. Lo dimostra il caso di Rose Hu e quanto raccontato nel libro “La gioia nella sofferenza. Con Cristo nelle prigioni della Cina”. È la storia di una donna che ha trascorso 26 anni di prigionia nei campi di concentramento dei comunisti di Pechino. L’autrice, imprigionata nei campi di lavoro cinesi “laogai”, ringrazia Cristo della malattia che l’ha colpita perché le permette di raccontare quello che ha vissuto. Diventata cattolica dopo l’incontro con padre Shen, fu battezzata nel 1949 a Shanghai e si unì alla Legione di Maria che però due anni dopo finì nel mirino del Pcc. Rose fu arrestata la prima volta nel 1955, poi 3 anni dopo. Nei primi otto mesi di carcere fu sottoposta a 120 interrogatori di giorno e notte. I due pasti giornalieri consistevano in una ciotola di riso cotto con verdura marcia e bucce di zucca. Nella cella era rinchiusa con una ventina di prigioniere, quindi per muoversi dovevano girarsi tutte insieme. Tutto questo perché non voleva rinnegare la sua fede.
ROSE HU E I CRISTIANI PERSEGUITATI IN CINA
Quando Rose Hu venne condannata a 15 anni di prigione, senza processo, aveva solo 20 anni. Venne mandata al Lago bianco, una palude trasformata in un campo di lavoro. Ci rimase per sette anni e incontrò molti martiri cinesi. Lì lavorava dalle 16 alle 18 ore al giorno. Molti morivano per il caldo, la fatica e le molte malattie. Poi fu scelta come infermiera per lavorare in ospedale. Ma siccome non voleva rinnegare la sua fede, fu mandata a Dangshan a coltivare la terra. Qui però i cattolici venivano trattati peggio. Ogni anno erano organizzate riunioni in cui i prigionieri erano obbligati a colpire i sacerdoti e i fedeli, poi venivano chiusi in cella senza finestre e con la razione del cibo dimezzata. Ma se avessero accettato di rinunciare alla fede cristiana sarebbero stati liberati. C’era chi perdeva la testa o si suicidava. Rose Hu finì di scontare la sua pena nel 1973, ma restò nei “laogai” come post-detenuta. Riceveva un piccolo salario, poteva sposarsi e tornare a casa 7 giorni all’anno. Nel 1982 lei e il marito vennero liberati, quindi si trasferì negli Stati Uniti per evitare persecuzioni. Nel 1997 le fu diagnosticato un cancro al seno e il 13 ottobre 2012 morì all’età di 79 anni. Ci sono tante storie come questa, ma nessuna manifestazione di protesta. Solo silenzio.