L’idea di sostenibilità si sta diffondendo sempre di più, fino a stimolare una mentalità vera e propria: forse qui sta la principale differenza rispetto a qualche anno fa, quando sembrava più che altro una moda borghese di chi, volendo investire, ci teneva a farlo con un po’ di coscienza pulita, essendo la finanza “sporca” per definizione.
Uno dei punti di svolta, a mio parere, è stata la dichiarazione di principi adottata lo scorso agosto dalla Business Roundtable, che raggruppa 180 tra le principali aziende negli Stati Uniti, secondo la quale l’obiettivo di un’azienda non deve circoscriversi al profitto per gli azionisti, ma estendersi alla responsabilità nei confronti dell’ambiente, dei lavoratori, in sintesi, della comunità: di nuovo, c’è senza dubbio l’aspetto che, nel medio-lungo periodo, scelte irrispettose dell’ambiente e della società siano meno premianti anche sul piano della redditività.
Lo si può già notare, ad esempio, dal mercato dei “green bond“, cioè obbligazioni, emesse da Stati o società, simili a quelle tradizionali, dove i fondi raccolti servono a finanziare progetti caratterizzati da impatti positivi e misurabili sull’ambiente, definiti ex ante e debitamente rendicontati ex post: nati nel 2014, hanno raggiunto circa 200 miliardi di euro di emissioni nel 2019, assai diversificati quanto a esposizione geografica e settoriale, con performance non dissimili dai bond tradizionali (da dicembre 2014 a dicembre 2019, a livello di indice, hanno prodotto una performance cumulata intorno al 15%, a tratti anche superiore a quella dei bond tradizionali).
La legislazione europea si sta evolvendo molto velocemente sul punto, per normare il linguaggio descrittivo degli investimenti (c.d. “Tassonomia”). Nel Regolamento comunitario recentemente emanato sulla trasparenza dell’informativa in materia di sostenibilità del settore dei servizi finanziari, si definisce “investimento sostenibile” un investimento in un’attività economica che contribuisce a un obiettivo ambientale (efficienza delle risorse concernenti l’impiego di energia, impiego di energie rinnovabili, ecc.) o un investimento in un’attività economica che contribuisce a un obiettivo sociale (lotta contro la disuguaglianza, o promozione della coesione sociale, ecc.), oppure un investimento in imprese che rispettino prassi di buona governance (strutture di gestione solide, qualità delle relazioni industriali, ecc.).
Diventa sempre più viva la percezione effettiva del “rischio di sostenibilità”, ossia la possibilità che si realizzi un evento o una condizione di tipo ambientale, sociale o di governance tale da provocare un significativo impatto negativo sul valore dell’investimento: questa idea, che sembra perfettamente incarnata dalla pandemia, ha ormai una sua autonoma e minacciosa configurazione e, non potendo essere considerata come un effetto collaterale di minore importanza, va misurata ed espressa sia nell’informativa precontrattuale, sia nella rendicontazione successiva.
Effettuare investimenti centrati su fattori ambientali, sociali e di governance (c.d. “Esg”, secondo l’acronimo inglese) significa anche intraprendere un dialogo positivo con le imprese di cui si acquistano i titoli per stimolare comportamenti sostenibili: si tratta dell’attività di engagement, che oltre a impegnare le imprese sui comportamenti attuati, può giungere fino all’esercizio del diritto di voto nelle assemblee degli azionisti per rendere pubblico il proprio dissenso e sollecitare cambi di rotta. Fino a pochi anni fa, poteva sembrare un gesto solamente simbolico, ma è destinato ad accrescere enormemente la propria influenza.
Nel 2018, alcuni investitori istituzionali, tra cui il Fondo pensione degli insegnanti della California (“CalSTRS”), con lettera di engagement, hanno sensibilizzato la Apple sugli effetti negativi dell’eccessiva dipendenza da smartphone da parte di bambini e adolescenti, causa di forme depressive e persino tendenze suicide, sollecitando il produttore a sviluppare meccanismi di controllo e di tutela a beneficio dei genitori per prevenire pericolose patologie. Pur detenendo, all’epoca, una piccola partecipazione azionaria in Apple, con un capacità di influenza necessariamente limitata, la lettera è stata pubblicata sulla homepage del Wall Street Journal, ottenendo larghissima risonanza e consenso. Si può pensare anche all’iniziativa “Climate action 100+”, che ha l’obiettivo di indurre le imprese a più elevato impatto ambientale (compagnie energetiche, aeree, ecc.) a minimizzare il rischio climatico e a informare tutti gli stakeholders sui comportamenti attuati al riguardo; lanciata a fine 2017, in meno di due, anni l’iniziativa ha raccolto l’adesione di oltre 450 investitori per un ammontare complessivo di 40 mila miliardi di dollari di masse gestite.
Il motore dello sviluppo, insomma, sarà il valore condiviso – come individuato da alcuni studiosi – in base al quale sono i bisogni della società e non solo quelli economici convenzionali a definire il mercato. Tornare indietro sarebbe molto pericoloso.