La Corte costituzionale ieri ha stabilito che la decisione del Governo italiano di estromettere Autostrade per l’Italia dalla ricostruzione del Ponte Morandi era legittima. “La decisione del Legislatore di non affidare ad Autostrade la ricostruzione del Ponte è stata determinata dalla eccezionale gravità della situazione che lo ha indotto, in via precauzionale, a non affidare i lavori alla società incaricata della manutenzione del Ponte stesso”. Molti si attendevano che una decisione della Corte favorevole ad Autostrade per l’Italia avrebbe fatto accantonare al Governo l’ipotesi della revoca della concessione per sempre e avrebbe portato a un accordo in tempi brevi.
La situazione attuale infatti è la peggiore possibile per tutti. Per il Governo italiano, perché sulla stragrande maggioranza della rete autostradale sono nei fatti sospesi tutti gli investimenti non necessari per non parlare delle nuove opere. Per la società, perché l’incertezza è oggettiva e certamente negativa. Il Governo italiano non può permettersi che questa situazione continui in attesa che la “magistratura” risolva il problema. Una sentenza sfavorevole al Governo avrebbe forse consentito all’esecutivo di presentare un accordo senza revoca come inevitabile. Invece da ieri la decisione non può non essere “politica” e apre una faida all’interno della maggioranza visto che per M5s la revoca rischia di essere l’ultima battaglia dopo le mille che sono state accantonate dalla Tav ai gasdotti passando per un’alleanza che fino a un anno fa era considerata impossibile.
Il problema non è una divisione ideologica tra l’affidamento della gestione a un soggetto pubblico e a uno privato. Il problema è che per anni ai concessionari italiani sono stati garantiti rendimenti senza senso rispetto a rischi prossimi allo zero e a tassi bassissimi. Gli investimenti sono stati ritardati, con la complicità attiva di una burocrazia insostenibile che dà ogni alibi a chi ovviamente preferisce prendere l’aumento della tariffa e l’allungamento della concessione e posticipare il più possibile l’uscita di cassa.
Nel caso specifico le indagini hanno evidenziato comportamenti molto “discutibili” che hanno portato alle dimissioni dell’amministratore delegato di Atlantia. Luciano Benetton dichiarava nel 2019 di “essere sotto shock per le recenti intercettazioni”. La convenzione firmata dal Governo italiano è così sbilanciata nei confronti del concessionario da non nominare mai la parola sicurezza e da includere norme sulla revoca favorevolissime al concessionario. Questi sono fatti che difficilmente possono essere negati. I rapporti di authority che evidenziavano il rischio di doppia remunerazione e la debolezza dei poteri di controllo sugli investimenti avevano argomenti difficilmente contestabili.
La concessione di Autostrade per l’Italia scade nel 2038: 18 lunghissimi anni, una generazione, per una concessione che ha limiti palesi che sono, certamente, anche colpa di un regolatore davvero troppo “buono”. Il concessionario della rete autostradale di un Paese che da due decenni è in fondo alla classifica della crescita europea ha comprato asset in tutto il mondo con i soldi fatti sulle autostrade italiane. Atlantia ha comprato per cassa ai massimi del mercato le autostrade spagnole e francesi, la quota di maggioranza relativa del tunnel sotto la manica, l’aeroporto di Nizza, autostrade in Messico e così via. Nessun regolatore potrebbe essere contento di un esito di questo tipo. Il problema, ripetiamo, non è la gestione privata, ma un rapporto rischio/rendimento che non ha paragoni e completamente sballato nei confronti del concessionario.
Il Governo italiano deve risolvere l’impasse avendo come controparte una società su cui le indagini hanno fatto emergere tante questioni antipatiche che però ha dalla sua parte un contratto fortissimo. Posticipando ancora la decisione si fa male al Paese. Trovare un accordo non è facile perché, senza voler incolpare nessuno, Autostrade per l’Italia ha moltissime leve a suo favore; non da ultimo quella di “bloccare” gli investimenti avendo dalla propria parte i tempi biblici della giustizia italiana. È molto difficile che il governo riesca a ottenere un accordo soddisfacente. Quello che è certo è che posticipare la decisione è già una decisione: quella di sacrificare gli investimenti e il “Paese” sull’altare della “stabilità”. In questo caso per non scontentare troppo M5s alla vigilia di una tornata elettorale importante.