Sono passati quasi sei anni dalla morte dell’attore Robin Williams, trovato privo di sensi l’11 agosto 2014 nella sua abitazione di Paradise Cay, in California. Sin dai primi istanti il medico legale ipotizzò la morte per suicidio parlando di decesso per asfissia e solo nelle successive ore la drammatica conferma arrivò da parte della polizia secondo la quale il noto interprete si era tolto la vita impiccandosi nella sua camera da letto con una cintura fissata alla maniglia della porta chiusa. A ribadirlo in una conferenza stampa fu lo sceriffo di Martin County che spiegò: “per definizione il suicidio è un atto intenzionale, e non dovuto a un incidente”. Il corpo di Robin Williams – che non lasciò alcun messaggio di addio – fu rinvenuto dalla sua assistente vestito e “sospeso da terra e in una posizione come se fosse seduto”. All’interno del polso sinistro furono riscontrate “ferite superficiali” ma come specificò lo sceriffo, non furono certamente quelle a determinare la morte. Vicino al suo corpo, come rammenta il Fatto Quotidiano online, fu ritrovato anche un coltello con tracce di sangue. Quando si tolse la vita l’attore aveva soli 63 anni. La moglie Susan Schneider in un comunicato riferì che Robin aveva il morbo di Parkinson e che soffriva di ansia e depressione, specificando però che al momento del drammatico gesto fosse sobrio.
ROBIN WILLIAMS, COM’È MORTO? LA MALATTIA NEURODEGENERATIVA
In seguito alla sua morte si diffusero diverse voci legate alle problematiche di Robin Williams. Alcuni amici riferirono le presunte preoccupazioni dell’attore anche sul piano economico tra cui il pagamento degli alimenti alle ex mogli. I risultati dell’autopsia furono resi noti alcuni mesi dopo la morte, nel novembre 2014, ed esclusero l’assunzione di droga o alcol da parte dell’attore al momento del suicidio. Fu allora che fu reso anche noto che l’attore soffriva di una malattia neurodegenerativa di cui si parla anche nella biografia scritta da Dave Itzkoff in cui vengono raccontati gli ultimi giorni di vita dell’attore. Si trattava della cosiddetta “demenza a corpi di Lewy”, una forma invalidante di degrado della corteccia cerebrale che ha tra i sintomi fluttuazioni delle capacità cognitive e dello stato di vigilanza, tremori, disturbi del movimento, allucinazioni visive, disturbi del sonno, disturbi dell’umore come depressione ed altri sintomi neuropsichiatrici tra cui delirio, paranoia, ansia, panico. Fu proprio la terza moglie Schneider, come rammenta Panorama, a raccontare gli ultimi giorni di vita del suo Robin: “Aveva un’andatura lenta e strascinata. Odiava non riuscire a trovare le parole, quando conversava. A volte si bloccava in una posizione, incapace di muoversi: la cosa lo frustrava. Iniziava ad avere problemi di vista, non riusciva a valutare distanza a profondità. Era sempre confuso. Ho pensato: mio marito è ipocondriaco? Abbiamo indagato e provato qualsiasi cosa, ma non cerano risposte”.