“Privi di meraviglia restiamo sordi al sublime”, la frase del filosofo ebreo Abraham Joshua Heschel, ripresa da Giussani ne Il senso religioso e scelta come titolo del Meeting 2020 quando della pandemia nulla ancora si sapeva, si è rivelata profetica nel compito che il Meeting si è assegnato. Anche se un po’, o tanto, glielo ha mutato.
Voleva, il Meeting, sollecitare tutti a sollevare gli occhi dal tran tran quotidiano, dall’ordinaria fatica di ogni giorno in cui siamo coinvolti, che spesso è eroismo quotidiano di tanti, per dare a quella fatica l’idea che essa ha comunque un senso, anche quando si piega o ripiega su se stessa. Anche quando, in modo anche drammatico, questo senso sembra scapparci tra le mani.
E invece credo si trovi, il Meeting, quest’anno impegnato a custodire la meraviglia che in questo annus horribilis si è presentata da sola. La meraviglia del dono della vita, del dono che innanzi tutto come vita degli altri di cui vive la mia vita, con la vita ci è dato. Sempre, ogni giorno, anche quando non ci facciamo caso.
Nella rovina del lutto, nelle difficoltà talora angosciose del lockdown, è questa meraviglia che ci è stata restituita. Rilanciata in grande stile nei titoli dei Tg e dei media, sui social. La meraviglia che la vita – la vita nostra e degli altri, la vita che si salvava nei reparti di rianimazione, o ne usciva morta su file di camion militari da città martoriate – la vita è la cosa più importante. Il dono che – presi dai propri affari – troppi di noi, singoli e società, avevamo dimenticato.
La vita non in astratto, ma la vita vera, quella che tante volte mettiamo da parte: i suoi affetti, i volti che ci avevano sorriso, aiutati, accompagnati. La vita mia e degli altri, che davamo per scontata e cui magari non avevamo fatto caso anche se sembrava ci incontrassimo. In questi mesi è la stata la vita a ricordarci la meraviglia della vita: di essere vivi, e di esserlo con altri, con gli altri che non potevamo toccare, con cui non potevamo mischiarci, perché il virus ci ricordava che potevamo essere un pericolo gli uni per gli altri. Però il virus ci ha anche ricordato che gli uni con gli altri, gli uni per gli altri, a quella meraviglia possiamo rendere onore, rendercene degni. E molti, spesso a prezzo della propria vita, lo hanno fatto.
A loro sia dedicato questo Meeting, alla sorpresa dell’umano che è uscita da mani, gesti, volti stravolti di fatica, ma che hanno saputo tenere il punto della meraviglia della vita da difendere. E credo che questo sarà il filo del discorso del Meeting di quest’anno: come usare la croce su cui siamo saliti per risorgere. Tutti insieme, per un mondo più giusto, per responsabilità pubbliche e private che non siano insolventi al debito che abbiamo con la vita che ci è stata donata.