Nei dati relativi alla ripresa economica si trovano tre categorie: rimbalzo rapido; più lento, ma in atto; stagnazione/crisi prolungata. Nella prima c’è l’industria manifatturiera il cui livello produttivo è cresciuto nelle ultime settimane molto più delle attese. Nella seconda, per esempio, le costruzioni. Nella terza c’è il turismo e, in generale, le attività legate al flusso internazionale di persone. Pertanto una politica economica razionale dovrebbe differenziare gli interventi in base alla situazione di un settore.
Poiché l’industria manifatturiera va bene – anche se Banca d’Italia stima un gap del recupero di volumi nel 2020 in relazione al 2019 di circa il 20% – è logico cercare di farla andare meglio con misure stimolative appropriate. La ripresa nel settore costruzioni andrebbe accelerata, facilitando aperture immediate di cantieri. Per il turismo, che vale circa il 13% del Pil italiano, si tratta di dedicare almeno 20 miliardi, in forma di prestiti lunghissimi garantiti e una parte a fondo perduto per le situazioni più gravi, affinché la maggioranza delle aziende sopravviva fino al probabile termine dell’emergenza sanitaria nel 2021. Non è una gran cifra.
Il Governo, invece, non sta settorializzando con precisione gli interventi, rendendoli meno efficaci. Le stime correnti del Pil 2020 vanno da un caso migliore di meno 8,5% a uno peggiore di meno 13%, se il contagio riesplodesse. Se l’azione del Governo fosse più mirata per settori, il caso migliore andrebbe verso un più facilmente gestibile meno 6,5%.
Poi c’è un altro errore. Dati recenti mostrano che una minoranza di famiglie ha soldi solo per tre mesi – ed è un’emergenza assistenziale -, ma che la maggioranza ha risparmiato negli ultimi mesi circa 36 miliardi in più del solito. Questa massa di liquidità resta congelata nei conti bancari invece di alimentare i consumi per paura del futuro. Un Governo professionale metterebbe in priorità la produzione di fiducia per trasferire tale liquidità ai consumi stessi, accelerando notevolmente il ciclo di ripresa. Il Governo attuale, invece, vuole estendere a fine anno lo stato d’emergenza, che è ansiogeno, nonché il blocco dei licenziamenti. Dovrebbe, al contrario, dichiarare che l’emergenza pandemica è controllabile da un’organizzazione dedicata – che c’è e funziona – e che quella economica sarà gestita privilegiando il sostegno alle fonti di occupazione. Appare abbastanza semplice e stupisce che il Governo faccia l’opposto.