Se Giuseppe Conte pensava di prolungarsi i (quasi) pieni poteri dello stato d’emergenza alla chetichella, senza che nessuno se ne accorgesse, il colpo di mano è clamorosamente fallito. Prorogare oltre il 31 luglio le condizioni eccezionali dichiarate a fine gennaio e che gli hanno consentito di governare attraverso una lunga sequenza di Dpcm (i famigerati decreti del presidente del Consiglio dei ministri) sottratti al controllo del Parlamento, non è affatto scontato.
Solo in Francia lo stato di emergenza è ancora in vigore, sino al 24 luglio, e nessuno parla di estenderlo. In tutti gli altri paesi europei è finito entro giugno, se non prima, Ungheria di Orbán compresa. E un prolungamento italiano risulta di difficile comprensione, specie per un paese che vive (anche) di turismo. Non è certo attrattiva l’unica nazione dell’Unione ancora in stato d’emergenza.
Con l’annuncio della probabile proroga Conte ha fatto saltare quindi tanti equilibri. Un passo falso che potrebbe ritorcersi contro di lui. Ha messo in imbarazzo la sua maggioranza, anche se il Pd ufficialmente si è accodato, i 5 Stelle sono freddi e i renziani perplessi. In realtà i mal di pancia non mancano. Lo testimoniano gli equilibrismi del costituzionalista Stefano Ceccanti, che è anche deputato dem, cui tocca il compito di spiegare quanto sia opportuno che il premier venga in Parlamento a spiegare le ragioni della proroga.
In realtà, trovare in giro un costituzionalista che giustifichi la mossa di Conte è impresa ardua. Basti per tutti la fucilata di Sabino Cassese (uno che certo non si può dipingere come un simpatizzante dell’attuale opposizione), secondo cui manca addirittura il presupposto basilare per l’emergenza, cioè l’emergenza stessa. Un colpo durissimo, sparato dalla prima pagina del Corriere della Sera.
Eppure in questa strana estate dell’anno del Covid assistiamo a un’opposizione sulle barricate in difesa delle prerogative del Parlamento e a una maggioranza accusata di calpestarle ormai da mesi. Un risultato (forse voluto) Conte lo ha sicuramente già raggiunto: ha raffreddato il dialogo fra spezzoni della maggioranza e Berlusconi, importante in chiave Mes, favorendo il riavvicinamento fra il Cavaliere e i suoi alleati. Così non si rischia la nascita di una maggioranza alternativa.
È come se il premier intendesse scavare sempre più la trincea intorno a Palazzo Chigi per costringere la sua maggioranza a difenderlo a ogni costo. Zero dialogo con le opposizioni, zero alternative, avanti tutta. Ma in questo caso almeno siamo ormai allo scontro istituzionale, e il gioco si sta facendo rischioso. Le parole della presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati non sembrano casuali. Quando dice che il Parlamento è diventato “l’invisibile della Costituzione” non si può fare a meno di ricordare che a parlare è la seconda carica dello Stato. E che spesso i vertici istituzionali si parlino. Per quanto fra la Casellati e Mattarella non si sia mai costruito un rapporto profondo, questa volta è difficile immaginare che la mossa della presidente del Senato sia stata fatta in assoluta autonomia rispetto al Quirinale.
Più volte da Mattarella sono venuti appelli alla collaborazione istituzionale, regolarmente ignorati, soprattutto dal premier. Il prolungamento dello stato d’emergenza senza neppure passare dalle Camere va in direzione opposta a quanto auspicato dal Capo dello Stato. E quand’anche alla fine il Parlamento votasse a favore, magari di una proroga di tre mesi (sino al 31 ottobre) e non dei cinque ipotizzati in origine, viene difficile pensare che dal Colle venga una copertura istituzionale rispetto alle voci che più fanno paura intorno alla proroga, l’intenzione cioè che vi sarebbe (secondo alcuni maligni) di usare lo stato d’emergenza per rinviare di nuovo il voto fissato per il 20 settembre, quello per sette regioni e oltre mille amministrazioni comunali, oltre al referendum confermativo del taglio dei parlamentari. Sarebbe uno strappo tremendo, giustificabile solo di fronte a un drammatico ritorno della pandemia.
Il tentativo di blindarsi a Palazzo Chigi potrebbe costare caro a Conte. In Parlamento potrebbero esserci sorprese. Si comincia martedì, quando al Senato è atteso il ministro della Salute, Speranza. Ma entro il mese anche il premier dovrebbe comparire davanti alle Camere. Il finale non è scontato.