Da tempo partner economici, Cina e Iran stanno lavorando a un accordo che molti esperti hanno definito “il più vasto mai intrapreso fra due nazioni”. Non poteva essere altrimenti con un paese, l’Iran, finito sul baratro economico spinto dalle sanzioni sempre più pressanti degli Stati Uniti, dal coinvolgimento in una guerra lunga e sanguinosa, quella in Siria, dalle minacce dell’Arabia Saudita e da una pandemia di coronavirus che sta facendo strage. Un ampio partenariato economico e di sicurezza militare, che porterà miliardi di dollari di investimenti, si parla di 400, secondo quanto ha scritto il New York Times che ha ottenuto il documento, della durata di 25 anni. L’accordo, proposto inizialmente nel 2016 da Xi Jinping, è stato approvato dal presidente Rouhani nel giugno scorso. Inutile dire che questo accordo sarebbe la via di ingresso per la Cina verso il Mediterraneo. Secondo Francesco Sisci, già inviato a Pechino de La Stampa e poi editorialista de Il Sole 24 Ore, “è in atto una fase di transizione che potrebbe cambiare tutti gli equilibri della regione”.
L’accordo tra Iran e Cina prevede tra le altre cose la vendita a Teheran di gas, elettronica e secondo Israele anche aiuti militari. È così?
Per la Cina si tratta di assicurarsi che Teheran non faccia balletti strani con gli americani, schierandosi con gli Usa e lasciando Pechino, e la via della Seta, da parte e isolata. Inoltre si introduce una moneta di scambio in più. Se l’America sostiene le proteste a Hong Kong e appoggia la questione del Xinjiang contro Pechino, la Cina entra in Iran minacciando quindi le posizioni americane in Iraq e Afghanistan, e quindi minacciando di azzerare e rivoltare tutto quello che gli Usa avevano ottenuto nella guerra all’estremismo islamico.
Siamo sicuri che l’Iran sia pronto a buttarsi nelle braccia cinesi?
C’è infatti una alternativa. Se l’Iran viceversa optasse per gli americani, con gli Ayatollah o senza Ayatollah, la Cina vedrebbe la sua Via della Seta interrotta. Se invece Teheran sceglie Pechino, la posizione americana in Iraq e Afghanistan sarebbe messa male.
Quanto è sicura la scommessa cinese sull’Iran?
Oggi il paese è molto debole e non è certo che gli aiuti cinesi riescano poi a rafforzarlo più di tanto. Inoltre la Persia è un’antichissima e sofisticatissima diplomazia. Teheran potrebbe firmare questo accordo anche per trattare di più e meglio con gli Usa. Da tempo ci sono canali aperti e tante prospettive potrebbero realizzarsi dopo le presidenziali americane.
Che quadro si aprirebbe in Medio Oriente se questo accordo venisse firmato?
In Medio Oriente non ci sono schieramenti precisi. Un problema per esempio è Israele, che considera il regime di Teheran una minaccia esistenziale. Quindi la possibilità che l’Iran acceleri con l’aiuto cinese il suo processo di costruzione di armi nucleari, migliori la qualità dei suoi sistemi missilistici tocca la vita stessa di Israele.
E la Turchia, che gioca da tempo un ruolo espansionistico di primo piano in Medio Oriente in contrasto con l’Iran?
La Turchia membro della Nato avrebbe la sua posizione rafforzata, perché è il vero argine oggettivo a un allargamento dell’Iran. La cosa rafforza la posizione turca, oggettivamente, anche in Libia. Se la Turchia è così utile agli Usa in funzione anti iraniana, Washington non vorrà disturbare Ankara su una questione così complicata come la sua presenza militare a Tripoli.
Che idea ha su questi stravolgimenti l’Italia?
La cosa ci riporta a un vecchio tema: senza una politica estera vera semplicemente non c’è il paese. In Italia gli esteri non sono integrati in una visione del paese. Sono come una vacanza esotica, alle Maldive o in Nicaragua. Al massimo la politica estera è una proiezioni di facili tribalismi italiani, la destra è per Trump, la sinistra per Biden, così in America il voto delle presidenziali è come una vittoria o sconfitta del Pd. Per il resto è buonismo o cattivismo semplice-semplice.
Con quali conseguenze?
Essendo posizioni basate sul niente, tutti si piegano al primo refolo di qualunque pressione straniera.