Partiamo da quel (poco) che sappiamo: non c’è revoca, né decadenza della concessione. Autostrade per l’Italia continuerà a essere il concessionario di gran parte della rete stradale, ma l’azionista di controllo, Atlantia (i “Benetton” nella vulgata populista e giustizialista), dovrà uscire dalla società o rimanervi con un ruolo assolutamente marginale.
Questa è una buona notizia per diversi motivi: perché manteniamo attiva una struttura produttiva che ha dimostrato evidenti limiti, ma anche, nonostante questi limiti, ha dimostrato di saper gestire le strade meglio della società pubblica, l’Anas; perché lo Stato (e quindi tutti noi) non si infila in una guerra giudiziaria dai costi altissimi e dagli esiti molto incerti; perché lo Stato non entra in diretto conflitto con fondamentali investitori internazionali, tedeschi e cinesi, il cui peso è determinante su molte partite internazionali in cui l’Italia è implicata; soprattutto perché evitiamo il fallimento di una società che, per fare gli investimenti, ha acceso prestiti presso molte istituzioni finanziarie e raccolto il risparmio di molte famiglie tramite obbligazioni.
La revoca, tanto reclamata dal M5S, avrebbe comportato inevitabilmente il fallimento della società e quindi l’impossibilità di rimborsare i prestiti ricevuti: un danno enorme ai risparmiatori e una patente di assoluta inaffidabilità per qualunque impresa operi in Italia, in particolar modo se in regime di concessione statale. Nel momento in cui dobbiamo rilanciare gli investimenti per risollevarci dalla crisi, sarebbe stato il suicidio perfetto.
Veniamo a quanto sappiamo della procedura ipotizzata: ci sarà un aumento di capitale dedicato che permetterà a Cassa depositi e prestiti di entrare nel capitale di Aspi; altri soci, graditi a Cdp (e graditi anche alla maggioranza di governo) potranno comprare quote da Atlantia, in modo che la quota dei Benetton si riduca dall’88% a una di minoranza. Poi si provvederà a quotare in borsa Aspi, aprendo la possibilità di un azionariato diffuso e riducendo ancor più la quota dei Benetton.
Quello che non sappiamo è quanto saranno pagate le azioni e quindi quanto Atlantia ricaverà dalla vendita delle azioni ai nuovi soci “graditi”: sappiamo però che la presenza nel capitale di Aspi di due investitori internazionali di primo piano (il colosso assicurativo tedesco Allianz e il fondo governativo cinese Silk Road Fund) non permetteranno di svalutare le azioni oltre un certo limite.
Soprattutto non sappiamo chi sarà il futuro azionista di controllo: se lo Stato, per tramite di Cdp o un socio privato “gradito” (si fa il nome del fondo di investimenti F2i). L’intera procedura richiederà tempo e siamo certi che, nei prossimi mesi, avremo problemi molto più gravi e pressanti che non andare a informarci di quanto le singole cessioni saranno state pagate.
Possiamo ora accennare a qualche conclusione, ovviamente provvisoria. La prima è sulla necessità di rafforzare i sistemi di corporate governance, perché tutta la vicenda ha mostrato quanto sia pericoloso accentrare in una sola persona troppo potere: il richiamo sempre più forte, anche nei santuari del capitalismo, a criteri di Environmental and Social Government responsibility (responsabilità ambientale e sociale – Esg) delle imprese deve cessare di essere materia di pubbliche relazioni patinate e diventare effettivo strumento di governance.
La seconda: la forsennata competizione elettorale che assorbe tutte le energie della nostra classe politica, assecondata dalla forsennata corsa all’audience dei nostri giornalisti e opinionisti, porta a semplificare questioni complesse per poter formulare soluzioni facilmente comunicabili e trasformabili in simboli identitari. Il “Ponte di Messina”, la “Tav”, i “Benetton” sono simboli di “battaglie” nelle quali molti possono identificarsi, dando soddisfazione a un’indistinta aspettativa di rivalsa contro i molti fantasmi colpevoli di rendere infelice la loro vita.
La terza (e me ne assumo personalmente la responsabilità) è che Conte è riuscito a scontentare tutti e quindi è stato un bravo mediatore. Wang Yanzhi, presidente del fondo cinese Silk Road Fund, intervenendo il 22 marzo dell’anno scorso nell’ambito del forum Italia Cina, ebbe a ricordare i due investimenti del Fondo in Italia (Aspi e Pirelli) e, dopo aver espresso soddisfazione per la “stabile collaborazione”, aggiunse quanto sia importante per un investitore internazionale “che un Paese come l’Italia mantenga stabilità nelle leggi e nei contratti”, attesa certo condivisa da molti: teniamolo presente per il prosieguo.