La chiamavano la Benemerita. Di meriti ne hanno ben pochi, i Carabinieri piacentini (sede di Piacenza, non sono certo tutti di quella nobile città) accusati di estorsione, spaccio, ricettazione, pestaggi, torture! Una piccola stazione di provincia ha il privilegio di essere la prima sequestrata in Italia. Il presidio, il baluardo dei cittadini paragonato a Gomorra, e dagli stessi protagonisti di una squallida vicenda da film di bassa categoria, che speriamo non diventi mai un film o una fiction che facendo il giro del mondo contribuisca ancora di più a bollare l’Italia come terra di malandrini.
Perché il discredito sull’Arma non è giusto, non è degno di tutto l’impegno coraggioso, volenteroso, indefesso di tanti ragazzi e non più ragazzi che per uno stipendio troppo basso rischiano la vita, e in anguste stanzette mal arredate e umili rappresentano lo Stato, sostengono i quartieri, nella sicurezza, nella vicinanza alla gente che lo Stato sente troppo lontano. I Carabinieri invece li sentiamo vicini, partecipi, rassicuranti, sicuri. Ci fidiamo di loro, e perfino le barzellette che da sempre li sbeffeggiano sono bonarie, non malevole: paradossali, come si fa scherzando con gli amici, goliardicamente.
Nessuno crede alle scempiaggini su curricula faticosamente raggiunti, e a prezzo di sacrifici familiari ed economici, di spostamenti da un capo all’altro del Paese, di rischi e perdite. Un ragazzo con famiglia di stanza a Roma, bimba appena nata, che ogni due giorni corre in auto per 4 ore avanti e indietro per fare un salto a casa, dalla sua stazione in Toscana, era prostrato, stasera: allora non serve a nulla, essere responsabili e onesti? Serve. Perché come la giustizia non si corrompe per un giudice corrotto, non si sporca per sei Carabinieri corrotti e criminali. Certo è che le loro inconcepibili gesta daranno armi a chi li considera nemici, non solo i banditi, ma troppi giovani ubriachi di ideologie che hanno bisogno di scaricare sulla divisa il loro odio sociale e la loro violenza.
Gongolano gli odiatori degli “sbirri”. Sghignazzano, i detentori del potere nei vicoli, nei bassi, nei campi, nelle ville estorte a prezzo di ricatti e spedizioni punitive. Tronfi si fregano le mani i boss e i capetti di periferie, che accrescono una fiducia rassegnata tra la gente che vessano con la paura. Ma la giustizia non è un totem da idolatrare, non è un prete colpevole e malato a fare di tutti i preti dei maniaci del sesso, non sono i Carabinieri della Levante di Piacenza a farci cambiare idea sul lavoro di tanti e tanti servitori del Paese. La giustizia è un ideale, e gli uomini compiono reati e peccati, tutti gli uomini. La giustizia assoluta non esiste, esistono uomini giusti e altri ingiusti, in ogni ambito. E se la giustizia non è riportata umilmente alla fragilità dell’uomo, se non è tensione, ma idolo, appunto, ogni scarto è buono per evidenziarne le crepe, e condannarla, eluderla, giustificando le proprie mancanze con le mancanze altrui.
La giustizia è tensione al bene, al bene comune. Se manca questo orizzonte, che è dato da un’educazione e una storia, da una comunità che lo condivide, si può benissimo indossare la divisa da carabiniere o da poliziotto o da magistrato per far soldi, per acquisire potere, per irridere a bottiglie di Dom Perignon la fatica quotidiana della gente che suda e lavora, e aspetta da chi ha scelto – per vocazione, non solo per mestiere – tutele e amicizia. Che sia fatta chiarezza, che si scoprano i verminai eventualmente sotterrati in altre province, ma stiamo tuttavia coi Carabinieri e le famiglie dei Carabinieri, come Pasolini stava coi poliziotti e i figli dei poliziotti.