Minore capacità di isolare i primi positivi? Errori negli ospedali? Peggior comportamento dei cittadini? Nulla di tutto questo, secondo l’ultimo studio Usa-Italia sulla distribuzione geografica di ceri geni importanti per regolare la risposta immunitaria al Covid-19 potrebbe spiegare meglio di tutte le teorie/fake news/ipotesi emerse in questi mesi sulla differenza di pandemia scatenata al Nord Italia (nettamente più colpito) e il Centro-Sud Italia. «I portatori di certi geni nel proprio Dna potrebbero essere più suscettibili a sviluppare la sindrome covid», rilancia lo studio pubblicato in questi giorni sull’International Journal of Molecular Sciences e coordinato da Antonio Giordano dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine, dal Temple University a Philadelphia e dall’Università di Siena. La ricerca era già stata impostata nei primi mesi della pandemia coronavirus ma ora i nuovi dettagli arricchiscono l’indagine e giungono ad importanti risultati: «la distribuzione geografica di due varianti geniche -2HLA-B*44 e C*01 – ricalca la distribuzione geografica del contagio». Tradotto, al Nord Italia o in determinate province più colpite anche all’interno della stessa regione – ad esempio in Emilia Romagna, dove la disparità della diffusione del contagio è stata ed è tutt’ora ingente – il virus è stato maggiormente “favorito” mentre al Sud e nel Centro Italia ci sono stati meno contagi e diffusioni per una sorta di “scudo genetico” che avrebbe protetto maggiormente la popolazione.
LO STUDIO USA-ITALIA SULLO SVILUPPO DEL COVID
«Questo studio – spiega Antonio Giordano all’ANSA – potrebbe generare un importante test diagnostico per identificare i soggetti predisposti alla comparsa di sintomi più gravi in caso di infezioni virali»: come riporta l’Huffington Post in maniera approfondita, il sistema HLA svolge di fatto un ruolo cruciale nei meccanismi complessi di difesa immunitarie dell’organismo di fronte all’insorgenza del Covid-19. Secondo il vasto studio internazionale, maggiore è la percentuale di individui portatori dei geni HLA-B*44 e C*01 in una data provincia, maggiore la diffusione del Covid-19 in quella stessa provincia. Sempre Giordano conclude «Ciò evidenzia la capacità di questi alleli HLA di innescare reazioni immunologiche inadeguate nei confronti del SARS-Cov-2»: secondo invece Luciano Mutti, dello Sbarro Institute di Filadelfia, «L’identificazione di HLA permissivi o protettivi nei confronti dell’infezione da coronavirus potrebbe fornire informazioni preziose per la gestione clinica dei pazienti oltre a definire priorità nelle future campagne di vaccinazione in un modo facile ed economico». Allo studio hanno partecipato attivamente l’epidemiologo del Ministero della Salute Giovanni Baglio – coautore dello studio – e il viceministro della Salute Pierpaolo Sileri: «gli alleli HLA B*44 e C*01 potrebbero conferire maggiore suscettibilità all’infezione da covid-19, ed è in corso uno studio caso-controllo su pazienti di tutta Italia in cui è stata riscontrata positività all’infezione per verificare quanto è emerso dal nostro studio ecologico», ha spiegato ancora Giordano nella comunicazione all’Agenzia Ansa.