Fino a non molto tempo fa, l’evoluzione del Covid-19 in Ecuador ha avuto come epicentro la città portuale di Guayaquil, dove si è registrato il primo caso, una donna di 74 anni proveniente da Madrid, esattamente il 29 febbraio. Terzo Paese latinoamericano in ordine di tempo per l’arrivo del virus, la cosa per cui la sua diffusione fece scalpore furono le immagini dei morti abbandonati fuori dalle case in un’emergenza sanitaria talmente grave da richiedere la fabbricazione di bare di cartone per far fronte al fenomeno, ovviamente come palliativo per evitare non solo altri contagi, ma anche una situazione igienica che stava per dichiararsi fuori controllo.
Le ultime notizie provenienti dal Paese parlano di circa 78.000 casi, quindi un numero abbastanza contenuto se paragonato a quello di altre nazioni latinoamericane, anche se con 3.400 morti probabili, come dichiarato da fonti governative, mentre altre citano un numero vicino a 6.000. La capitale Quito ha però superato Guayaquil in numero di contagi, ma si può certo affermare che, rispetto alla situazione iniziale, le decisioni adottate dal Governo di Lenin Moreno si sono dimostrate finora efficaci d hanno pian piano riportato la situazione a livelli di controllo.
Tra le misure adottate dal Presidente, nel mese di maggio spiccano anche quelle economiche tese a procurare allo Stato fondi per poter affrontare la situazione: chiusura della Compagnia aerea nazionale Tame (“Negli ultimi 5 anni aveva causato perdite per 400 milioni di dollari. La liquideremo e manterremo solo le rotte che attualmente non dispongono di alternative private”, ha dichiarato il Presidente) e quella di ben 5 Ambasciate all’estero (Malesia, Iran, Nicaragua e le sue rappresentanze in ambito Oasi e Paesi andini), oltre al rientro di 10 Ambasciatori sostituiti da personale diplomatico di rango minore. Ma non solo: ben 7 imprese pubbliche verranno eliminate, tra le quali ferrovie e poste, mentre altre istituzioni verranno accorpate per ridurre le spese. Il tutto per poter far fronte al prestito di 643 milioni di dollari che il Fmi ha elargito urgentemente, e anche a quello della Banca Mondiale di 500 milioni.
Suona quasi comico che un Presidente che di nome fa Lenin organizzi e metta in atto una razionalizzazione delle imprese e di organi dello Stato, ma la situazione sanitaria iniziale, affrontata con misure di quarantena a macchia di leopardo, quindi differenziate a seconda del numero di contagi, ha dovuto essere sostituita da un blocco totale delle attività per cercare di fermare la progressione della pandemia, che stava per raggiungere livelli incontrollabili tanto da mettere in default l’intero sistema sanitario.
Il piano è riuscito a rallentare il fenomeno, ma ha anche bloccato l’economia del Paese, per cui giocoforza si son dovute instaurare le misure precedentemente illustrate: però se da una parte il risparmio di capitali è notevole, ciò ha anche significato una drastica riduzione del personale non solo nelle istituzioni eliminate, ma pure in quelle mantenute ancora aperte ma con tagli alla loro attività anche notevoli, come per esempio l’Università. Le riduzioni dei salari hanno toccato il 55% e ovviamente, quarantena o no, la cosa ha provocato proteste in tutto il Paese con manifestazioni organizzate dai sindacati dei lavoratori, apertamente contro il piano di sacrifici.
Il Covid-19 finora è costato all’Ecuador la perdita del 6% del Pil, circa 12 miliardi di dollari, e ben 150.000 posti di lavoro.
Come si vede anche dall’esempio qui descritto, il virus ha investito pienamente il continente latinoamericano che ormai può competere con gli Usa come nuovo epicentro della pandemia: in molti hanno associato i quasi insignificanti numeri iniziali (tranne quelli brasiliani e gli iniziali ecuadoriani) alla questione della supposta debolezza del coronavirus con la stagione estiva, un refrain che si ascolta fin dal suo insorgere, ma i fatti purtroppo smentiscono questa tesi, visto che l’enorme moltiplicazione è iniziata quando ancora le temperature nel continente erano alte. Purtroppo la mancanza di organizzazione e di investimenti atti a cercare di ridurre i contagi al di là della solita quarantena dura (solo poche nazioni hanno adottato piani tesi a risolvere il fenomeno), in molti Stati hanno significato l’inizio di crisi sociali ed economiche che difficilmente potranno essere risolte in tempi brevi, così come in altre parti del mondo, reclamando a gran voce l’utilizzazione dell’arma più efficace per combatterle: collocare l’essere umano al centro delle politiche future di questo nostro sgangherato Pianeta.