Come fosse un anno normale, come se non ci fosse niente da fare, con la tradizionale cerimonia del Ventaglio la settimana scorsa il Parlamento ha chiuso i battenti per la pausa estiva.
Del resto a che serve stare aperti e chiusi in quell’aula? Meglio il mare, o la montagna a seconda dei gusti. In fondo il governo decide tutto a colpi di decreti legge che l’aula è chiamata a vidimare. È quasi come se si fosse tornati indietro di un secolo, con il re che decide con il suo gabinetto e l’aula al massimo può rifiutarsi di approvare.
Ciò però sapendo che non approvare un decreto può significare anche lo scioglimento delle camere, e cioè, in questo caso, che la maggioranza dei deputati e senatori si troveranno senza un lavoro, dato che tanti sono senz’arte né parte. Quindi i parlamentari si piegano. In fondo così lavorano di meno e conservano lo stipendio.
In tale situazione il premier Giuseppe Conte pare abbia il 60% di preferenze, percentuale a cui – però – evidentemente non crede nemmeno lui. Infatti non cavalca i sondaggi per chiedere elezioni anticipate che trasformino in seggi veri le proiezioni. Invece usa astutamente questi numeri per ricattare politicamente la coalizione di governo, il Pd e almeno una parte di M5s, che forse è stufa del suo predominio.
Qui il filo diventa sottile. I parlamentari saranno pigri e ricattabili, i partiti della coalizione pure, ma a nessuno piace stare sotto ricatto. Conte non ha uomini suoi, tranne il fedele Rocco Casalino.
Il M5s non ha sede, non fa riunioni di massa, si dichiara un non partito. Pare frantumato in mille rivoli e correnti. Il Pd difende il premier, ma è chiaro che è un’altra cosa.
Cioè tutto si regge per forze “negative”, perché senza Conte tutti starebbero peggio. Ma non sembra esserci davvero un motivo per cui il Parlamento vorrebbe tenere Conte. Alla fin fine, un altro governo con la stessa maggioranza ma senza Conte farebbe lo stesso, o no?
Se Pd e M5s ormai vanno d’amore e d’accordo, e Conte dice di non essere parte del Movimento, perché Nicola Zingaretti non dovrebbe fare il presidente del Consiglio? O perché non dovrebbe farlo Di Maio? O perché ancora non un altro personaggio con un peso internazionale più importante di Conte?
L’impressione è che lo sfarinamento del paese non si sia arrestato in questi mesi di unità nazionale intorno al virus e alla crisi economica. Lo scandalo dei carabinieri di Piacenza sembra il sintomo che un cancro morale sia penetrato in profondità nell’Arma, che per oltre un secolo e mezzo è stata la cinghia di potere territoriale concreto dello Stato italiano. I duri ma puliti. Ma se i carabinieri sono inaffidabili, la stessa tenuta dello Stato è in questione. D’altro canto come potrebbero tenere i carabinieri quando tutto intorno sono macerie?
I partiti sono quello che sono. Il Parlamento da aula massima del dibattito politico e culturale, che ha ospitato Croce e Einaudi, ha accolto prima signorine in cerca di fama e poi disoccupati miracolati. I magistrati, eroi della lotta contro terrorismo e mafia, si sono scoperti immersi in miseri traffici.
In queste condizioni che cosa si può chiedere al carabiniere che con la sua divisa deve tracciare la linea tra legale e illegale?
Forse anche il Papa, in Italia e non in Italia, dovrebbe pregare per il paese che comincia a somigliare sempre di più a uno Stato della sua America Latina.
Il problema è: come rimettere le cose a posto? Che senso dare all’Italia? Che deve fare, oltre a sopravvivere? Ma la sopravvivenza è dell’ameba, già un animale deve avere un senso alla propria vita. Intanto se l’opposizione alla frugalità, che tanto plauso ha ricevuto a Roma, passa davvero anche in Italia, dove alcune regioni sono più frugali e danno allo Stato più di quanto ricevono, il paese si spacca.