Ieri si è appreso dai giornali che le date ipotizzate per la definizione dell’accordo tra Autostrade per l’Italia e il Governo slitteranno di un'”altra settimana”. Fonti di stampa ci avvisano che il posticipo si è reso necessario perché bisogna ancora definire alcuni “dettagli”: il prezzo, la nuova concessione e le modalità con cui avverrà la transazione, prima o dopo la quotazione. Giudicare l’accordo senza questi “dettagli” è ovviamente impossibile. Però possiamo valutare l’evoluzione delle trattative e paragonarle a quanto si è detto e scritto un paio di settimane fa.
L’accordo è stato presentato come il termine di una lunga diatriba durata quasi due anni e cioè dal crollo del ponte di Genova. Invece si continua a trattare su elementi che tutti possono comprendere come decisivi anche senza master in finanza. Facciamo una premessa: le uniche informazioni ufficiali che abbiamo sono quelle, estremamente scarne, contenute nel comunicato stampa pubblicato dal Governo a valle del consiglio dei Ministri. Nei giorni successivi abbiamo appreso, dalla stampa, che l’aumento di capitale riservato a Cdp per rilevare il 33% di Autostrade per l’Italia sarebbe stato compreso tra 3 e 4 miliardi di euro. Significa valutare la società, prima dell’aumento, per una cifra compresa tra 6 e 8 miliardi di euro. Atlantia, a valle dell’aumento si troverebbe con una quota, valutata, nella parte alta della forchetta, più di 6 miliardi di euro.
Negli ultimi giorni però i giornali ci avvisano che, sostanzialmente, le valutazioni stanno salendo e ieri, per esempio, si ipotizzavano prezzi superiori a 10 miliardi di euro. Il conto per la Cdp, per rilevare il 33%, ovviamente sale. Cosa sta succedendo?
Il comunicato stampa del Governo italiano e i “principi” in esso contenuto hanno messo la parola fine agli scenari peggiori per i Benetton: la revoca e una somma per le compensazioni che poteva essere minore ma anche molto maggiore se, in via del tutto ipotetica, la magistratura avesse provato delle colpe o se, nei prossimi anni, ci saremmo tutti accorti che lo stato di manutenzione della rete non è “ottimale”.
Nei fatti avendo demandato alle prossime settimane la definizione dei “dettagli” il Governo italiano ha fissato il “minimo” della trattativa, ha tagliato le ipotesi più negative e quindi quella base è diventata la base di partenza della trattativa. Adesso come da copione ci si sta accapigliando su prezzi e rendimenti perché le ipotesi veramente negative sono fuori dal tavolo e quindi investitori istituzionali di peso si fanno avanti con richieste di prezzo che solo due mesi fa sarebbero state impossibili. Come si fa, infatti, a parlare di prezzo prima dell’accordo di settimana scorsa?
Oggi l’asset è infinitamente più normale di quanto non lo fosse sei mesi fa quando revoca e compensazioni erano ignote. Oggi sono state fissate e si tratta, ma il potere negoziale si è spostato tutto da una parte. Facciamo presente che in tempi di Covid e stati di emergenza le autostrade sono molto più “preziose” e possono sostituire il traffico sia aereo che ferroviario.
L’accordo, quindi, non solo non “depreda” i Benetton come si evince benissimo dai prezzi di due settimane fa, ma diventa la base per numeri migliori. Magari non troppo distanti dalle valutazioni pienissime del 2017, prima del crollo del ponte e prima della recessione da Covid. Se l’Italia fosse un Paese normalmente europeo, con un calo di Pil da Covid nella media europea e non fossimo in una situazione globale “complicata” chissà dove starebbero i prezzi del titolo. Al netto, ovviamente di quella due giorni di volatilità di cui siamo certi nessuno si è approfittato per non parlare di ipotesi altrettanto malevole e impossibili. In ogni caso, sorpresa!, la parte alta della forchetta di due settimane fa è diventata la base per una trattativa al rialzo in attesa che si “definiscano i dettagli”.
Ognuna tragga le proprie conclusioni rispetto alla “narrazione” ufficiale.