Ogni tanto mi si fissa in testa una frase musicale o il verso di una canzone. Penso capiti anche a voi, quantomeno a tutti coloro che amano la musica. A me capita molto più che ogni tanto. C’è sempre qualcosa, un fatto, una circostanza ad innescare questa dinamica e quel brano che viene alla mente ne diventa come la colonna sonora. Forse a causa della pandemia che continua a dilagare mettendoci addosso un senso di vertigine, forse a causa delle proteste che ancora segnano la vita di molte città americane, per una libera (e sempre misteriosamente interessante) associazione di idee in questi giorni un vecchio brano di Paul Simon mi si è infilato nel cervello e continua ad accompagnarmi.
“I am a rock”, sono una pietra, una roccia o meglio, seguendo il cuore del testo, sono fatto di pietra. E’ un brano di oltre mezzo secolo fa, eppure sembra il ritratto di tanti uomini d’oggi, il ritratto di tutti noi quando le cose non ci corrispondono o peggio ci feriscono proprio. “I’ve built walls, a fortress deep and mighty that none may penetrate. I have no need of friendship, friendship causes pain … ho costruito delle mura, una fortezza possente che nessuno può penetrare. Non ho bisogno di amicizia, l’amicizia causa sofferenza …. I have my books and my poetry to protect me. I am shielded in my armor. Hiding in my room, safe within my womb I touch no one and no one touches me, I am a rock…” ho i miei libri e la mia poesia per proteggermi e mi difende la mia armatura. Mi nascondo nella mia stanza, al sicuro nel mio grembo, non tocco nessuno e nessuno mi tocca; sono una pietra, sono una roccia … Sembrano quasi le parole di un Salmo, il Salmo di un uomo solo, senza Dio.
Non capita anche a noi? Magari il nostro rifugio non sarà fatto di libri e poesia, ma anche noi combattiamo per costruirlo, per difendere un nostro spazio dove nessuno possa raggiungerci. Uno spazio impenetrabile, oggi magari reso più minuscolo dall’invadenza del coronavirus, eppure sempre perseguito.
L’altro giorno, alle prese con un epico trasloco (il nostro, da New York City al Minnesota), reso “piuttosto prolungato ed impegnativo” dal virus e dalle sue tante conseguenze, “I am a rock” mi ronzava in testa mentre con l’aiuto di alcuni amici si spostavano mobili e scatoloni su e giù per la nuova casa. Ad un tratto, giunti nel basement, il seminterrato, in particolare nella stanza dove si governano tutti gli impianti, mi sono accorto che Jeff, uno degli amici, si era messo a spiegare ad un altro come funzionasse tutto quel complesso intrico di tubature che corrono dal pavimento al soffitto collegando chissà cosa a chissà cos’altro. Intrico a me completamente ignoto, e quindi istintivamente ostile. Mi son fermato ad ascoltare, quasi ipnotizzato, e cosi anche Doug, un altro amico che avendomi rivolto una domanda e non avendo ricevuto alcun segno di risposta (ero ipnotizzato!), si era dapprima incuriosito per poi rimanere totalmente affascinato. Dopo non so quanti minuti mi è venuto spontaneo dire a Doug, “Did you ever think there was beauty in plumbing”? Avevi mai pensato che ci fosse bellezza nelle tubature? Vedi, Jeff ci sta presentando tubi, valvole e manometri con la stessa competenza ed amore con cui un appassionato d’arte ci porterebbe in giro per il Louvre a farci gustare quei capolavori. Se avessi potuto scegliere avrei certamente optato per il Louvre piuttosto che per le tubature … ma la verità è che non c’e’ nulla che non sia bello quando è conosciuto ed amato. Nulla! Tutto diventa bello.
Ma perché gli occhi possano vedere bisogna aprire le mura della fortezza. Come direbbe Ezechiele, ci vuole un cuore di carne, non di pietra.
Certo è vero, Mr. Simon, che un cuore di carne può sanguinare ed uno di pietra no, ma poter vedere segni d’amore e di bellezza persino nelle tubature del Minnesota è una promessa di speranza, una grande promessa alla quale non dovremmo mai rinunciare.
Cambia la musica della vita …. “I see my light come shining, from the west unto the east – anyday now, I shall be released….”.