Sono trascorsi quasi 40 anni dall’arresto del padre Enzo, la più famosa vittima di errori giudiziari, oggi Gaia Tortora si racconta senza filtri tra le difficoltà affrontate ed i problemi del Paese. Nella lunga intervista rilasciata oggi – 31 luglio 2020 – ai microfoni de Il Giornale, la giornalista ha rivelato di essere stata vittima di attacchi di panico, nati dall’impossibilità di sopportare il peso del dolore: «In diretta, mentre conducevo il telegiornale, sudavo, tossivo, andavo in affanno, non riuscivo più a parlare». Il volto di La 7 ha spiegato di non aver parlato con nessuno di questi suoi problemi, se non con le amiche più intime, affermando di essersi vergognata per quegli attacchi di panico: «Spero che la mia testimonianza possa aiutare altri che ne sono colpiti, far capire che può capitare a chiunque e, soprattutto, che se ne può uscire». Lei è riuscita ad uscire dal vortice prendendo consapevolezza di quello che le stava accadendo, andando in terapia e affrontando tutto ciò che teneva chiuso dentro sé, come in un buco nero: «Ero come una bomba a orologeria: prima o poi l’esplosione avviene».
GAIA TORTORA E GLI ATTACCHI DI PANICO
Gaia Tortora ai microfoni de Il Giornale ha ripercorso quegli attacchi di panico, arrivando ad ammettere che apparire in tv era diventata una sofferenza. E non è stato facile dover fare i conti con l’arresto del padre Enzo, lei aveva solo 13 anni: «Avevo due possibilità: buttarmi via o incanalare questo dolore in qualcosa che mi facesse vivere. Ho scelto la seconda: quella del lavoro duro, tenace, della passione per il giornalismo, senza vittimismo». Ma il dolore non passa mai, ha aggiunto poi Gaia Tortora, evidenziando di non nutrire più rabbia al giorno d’oggi: «Mi domando ancora perché sia accaduta una cosa del genere, perché un innocente abbia dovuto affrontare quel calvario, perché nessuno abbia mai pagato per quanto successo. Mi domando perché dopo 30 anni in questo Paese non sia cambiato nulla, perché non ci sia stata una riforma della giustizia. Perché ci siano ancora i casi Palamara e Di Matteo…»