Non c’è pace per gli anni 70. Per chi li ha vissuti subendo la paura, la precarietà, le tensioni violente di contrapposte ideologie. Per chi li ha vissuti da protagonista di lotte armate che dovevano cambiare il mondo, e hanno seminato dolore, morte, rimorsi perenni.
È uscito un bel libro di Maurice Bignami che chiede di farci i conti, con questi maledetti anni 70, che a parte qualche cantautore idealista e poco realista, le gonne a fiori e i capelli con la permanente, non ricordo abbiano regalato troppi sprazzi alla fantasia. Si intitola Requiem per gli anni 70, ma è un inno sacro che nessuno vuole intonare. Troppe compromissioni di chi oggi cambiando testa svicola volentieri dalle intemperanze giovanili che facevano guardare con condiscendenza a quelli che, comunque, erano compagni.
Troppi sessantenni rampanti si gloriano di aver tirato qualche molotov, e aver partecipato agli scontri con la polizia. Era un clima di odio e di rabbia che può tornare, quando si dividono gli uomini per categorie, e i buoni sono contro, i cattivi meritano la lotta, a qualunque prezzo. Chi ha pagato almeno ha preso coscienza, attraverso percorsi interminabili e coraggiosi, sostenuti dal dialogo con menti aperte e profonde, perfino grazie all’incontro con i parenti delle vittime. È il cammino affatto scontato della giustizia riparativa, cui si dedica da anni con paziente fiducia un gesuita, padre Guido Bertagna, tessendo le fila di una restituzione, di una ricostruzione che salvi l’uomo, al di là dei suoi reati e peccati, e permetta di essere perdonati e, soprattutto, di perdonarsi.
Si vedono le tracce di questa fatica nelle parole di Alberto Franceschini, intervistato venerdì su Repubblica, perché si va di anniversari e 40 anni fa scoppiavano le bombe, “strategia del terrore”, che scatenò ancor di più la furia di chi voleva contrastarla con le stesse armi, dall’altra pare della barricata. “Porto il peso della violenza che ha insanguinato l’Italia”, confessa il fondatore acclamato delle Brigate rosse, che poteva diventare un ingegnere, e invece a 23 anni brucia la sua carta d’identità per entrare in clandestinità, e provarsi ad abbattere lo Stato. Dice che non ha mai ucciso nessuno, attribuisce tutte le responsabilità a Mario Moretti, ma non addolcisce le sue responsabilità politiche e morali.
È il pensiero raccolto in incontri e in scritti di Bignami e di Franco Bonisoli, altri due terroristi che hanno pagato, che si sono dissociati non per sconti di pena, che ingrigiscono sfiancati da una giovinezza perduta, legami spezzati, drammi umani che gravano sulle loro spalle. Purtroppo, c’è ancora chi ritiene di autoassolversi e giustificarsi cristallizzando il periodo storico, che “imponeva” una reazione guerrigliera, chi rimpiange i sogni guevaristi e dei vari i emuli che hanno scelto il rosso: del comunismo, che si stenta sempre a considerare un’ideologia nefasta e assassina, e del sangue di cui hanno macchiato la storia e le loro coscienze.
Attenzione, perché l’ideologia è in agguato, e in tempi di crisi, e siamo in tempo di crisi, ritorna, subdola o palese: blatera di diritti umani, purché siano di suo gradimento, si tinge di ismi di altro colore, e poi torna sempre allo stesso punto, occupiamo il potere e gestiamolo noi, che siamo i più giusti, intelligenti, capaci. Fa bene ascoltare i Franceschini, purché non ci siano chiose di “se” e “ma”. Anche di chi, sullo stesso giornale che lo ospita, mette alla gogna i nemici, scatenando disprezzo. Le parole dei cattivi maestri hanno segnato troppe vite, attraverso la scuola, i giornali, i libri. Impariamo a riconoscerli, e disinnescarli.