Il giorno dopo le indiscrezioni su possibili nuovi elementi per il delitto di Via Poma i legali di Simonetta Cesaroni intervengono con una nota all’Agenzia Ansa dove confermano la possibilità di poter riaprire clamorosamente il processo dopo che il 26 febbraio 2014 la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso della Procura Generale di Roma contro la sentenza di secondo grado, avanzando la definitiva assoluzione di Raniero Busco, ex fidanzato di Simonetta. «L’omicidio di via Poma rappresenta una sconfitta per tutto il sistema giudiziario italiano, una sconfitta per lo Stato. Per la famiglia il dolore non cambia, hanno questa ferita che non si chiuderà mai anche alla luce di alcuni dubbi che non sono stati sgombrati», spiega l’avvocato Federica Mondani, legale dei familiari di Simonetta Cesaroni, «L’indagine si può riaprire in qualsiasi momento ma a questo punto serve un segnale dalla Procura che in questi ultimi anni però non è arrivato».
I DUBBI DEI LEGALI DELLA FAMIGLIA CESARONI
Era il 7 agosto 1990 quando in Via Poma a Roma nell’ufficio dell’Associazione Alberghi della gioventù viene uccisa Simonetta Cesaroni, 21 anni, completamente nuda ma senza segni di violenza sessuale: il suo corpo è stato trovato solo dopo insistenza della sorella Paola, preoccupata per il ritardo, trafitta con 29 colpi di tagliacarte in tutto il corpo esanime. Tra indagini, accusati e processi contro portieri, datori di lavoro e fidanzati il delitto di Via Poma è rimasto uno dei casi di cronaca nera più incredibili e non risolti degli ultimi 50 anni. Ieri il capo della sezione Omicidi della Questura romana, Antonio Del Greco, aveva spiegato al Messaggero «Un’idea naturalmente ce l’ho, ma oggi rischierei di prendere una querela. Sono convinto, però, che il palcoscenico degli attori comparsi in questa storia sia sempre lo stesso: portiere, indagati, datori di lavoro. Tra questi c’è la verità». Secondo il giornalista e scrittore Igor Patruno gli elementi nuovi da cui ripartire sarebbero «le macchie di sangue gruppo A individuate all’interno della porta della stanza dove è stato trovato il cadavere della ragazza e poi anche su un telefono dell’ufficio. Sangue che non si sa a chi appartenga. Gli esami del DNA, sebbene abbiano riguardato un numero considerevole di persone, hanno escluso altri che erano entrati in contatto con Simonetta nei giorni precedenti al delitto», spiega lo scrittore al Messaggero.