A giugno la produzione industriale italiana è salita dell’8,2% rispetto al mese di maggio, ma su base annua è stato registrato un calo del 13,7%. “Sebbene in recupero, i livelli produttivi restano ancora distanti da quelli prevalenti prima dei provvedimenti legati all’emergenza sanitaria; rispetto a gennaio la produzione risulta inferiore, al netto dei fattori stagionali, di oltre 13 punti percentuali”, spiega l’Istat nel commento ai dati diffusi ieri. Quando potranno vedersi segnali veri di ripresa? «Spero che arrivino a settembre-ottobre», ci dice Vittorio Coda, Professore emerito nell’Università Bocconi, dove ha insegnato Strategia e Politica Aziendale. «Fintanto che non si ritornerà a lavorare fuori casa, la vedo comunque un po’ difficile», aggiunge.
Perché?
Perché abbiamo una struttura di modello economico impostata sul concetto del vivere in casa e lavorare fuori casa. Passare al lavoro a distanza mette per forza di cose in crisi tremenda tutte le strutture che sono concepite per il lavoro fuori casa: commercio al dettaglio, ristorazione, trasporti. Senza dimenticare l’assenza di turisti stranieri, specie nelle città d’arte. L’economia non è solo l’industria che si sta rimettendo in moto. C’è ancora una parte produttiva del Paese che soffre e credo che la Pubblica amministrazione dovrebbe essere la prima a dare il buon esempio, attrezzandosi e incoraggiando i propri dipendenti a tornare a lavorare negli uffici anziché prolungare lo smart working. Lo stesso dovrebbero fare le aziende che, pur disponendo di strutture adeguate, trattengono ancora a casa i loro collaboratori invece di riaprire gli uffici. La ripartenza è fondamentale per rimettere in moto anche tutto il tessuto di attività presenti sul territorio, nelle città.
Quanto sta dicendo ricorda le recenti dichiarazioni del Presidente di Confindustria, secondo cui per il Governo la fase 2 non è ancora iniziata. È d’accordo?
Criticare è abbastanza facile. Credo che Bonomi dica delle cose giuste, ma in un modo che non gli consente di portare a casa dei risultati. Il compito non è facile, ma è un dato di fatto che Confindustria non stia riuscendo a farsi ascoltare più di tanto.
Quale sarebbe un risultato importante da conseguire?
Per esempio, fare in modo che possano essere rinforzati i presidi sanitari territoriali, anche utilizzando le risorse del Mes sanitario come Confindustria chiede. In questo modo ci sarebbero investimenti che darebbero anche tranquillità ai turisti che vengono in Italia sul fatto che siamo un Paese sicuro in grado di poter gestire eventuali focolai di contagio sul territorio. Gli investimenti nella sanità hanno poi un indotto formidabile che potrebbe essere messo in moto. Un’operazione di questo tipo rappresenterebbe anche l’occasione buona, in un ambito limitato, per imparare a efficientare la Pubblica amministrazione, oltre che un primo esempio degli investimenti che dovremo fare per utilizzare al meglio le risorse del Recovery fund. L’Europa ha fatto la sua parte, adesso tocca a noi. Ci vuole però molta concretezza e focalizzazione sul bene del Paese anziché sui sondaggi elettorali.
Quale risultato dovrebbe invece conseguire Confindustria per fare in modo che le imprese vengano concretamente aiutate?
Sicuramente cercare di accelerare il rimborso dei crediti che il settore privato vanta ancora nei confronti della Pubblica amministrazione. Bisognerebbe poi continuare a verificare che stia arrivando liquidità alle imprese che erano sane prima del lockdown per metterle in condizioni di resistere, specie in quei settori, come il turismo, che stanno più soffrendo e hanno difficoltà a ripartire.
Intanto i sindacati sono sul piede di guerra perché vogliono la proroga del blocco dei licenziamenti fino alle fine dell’anno. Cosa ne pensa?
Mi sembra che un blocco generalizzato non vada nella direzione giusta. Occorrerebbe semmai un intervento selettivo, che tenga conto delle realtà concrete dei territori e dei settori. Certamente bisogna salvaguardare l’occupazione di quelle aziende che erano sane prima del lockdown. Tutti i provvedimenti in campo economico, dovrebbero andare nella direzione di consentire la ripartenza di quelle aziende che erano sane prima dello scoppio della pandemia. Altrimenti i fondi finiscono per essere utilizzati male, sostenendo imprese che erano già decotte. È in base a questo criterio che andrebbero implementati i provvedimenti per sostenere l’economia e consentire la ripartenza.
(Lorenzo Torrisi)