Per la maggioranza di governo il rimpasto è un’opzione, o meglio una scialuppa di salvataggio, che continua a essere rilanciata dai media e smentita dai diretti interessati. Solo Sala, il sindaco Pd di Milano, ne ha espresso apertamente la necessità. Eppure le difficoltà di Pd e 5 Stelle sono evidenti, a cominciare dai dati dei sondaggi, che vedono il Movimento stabile al 16% e il Pd che non supera il 20%.
Ne abbiamo parlato con Fabrizio d’Esposito, notista politico del Fatto Quotidiano, con cui abbiamo analizzato la situazione interna dei partiti, attraversati tutti, dalla maggioranza all’opposizione, da guerre intestine. Le fibrillazioni maggiori però provengono dai partiti di maggioranza: “Il Pd potrebbe sostituire Zingaretti, la scelta è tra Orlando e Bonaccini. E i 5 Stelle potrebbero addirittura fare una scissione”. Sono questi gli scenari che, secondo d’Esposito, ci aspettano dopo l’election day del 21 settembre. In quella data si voterà per il referendum senza quorum che dovrà confermare o rigettare il taglio di 115 senatori e 230 deputati votato dall’attuale maggioranza, per le regionali di Toscana, Veneto, Campania, Liguria, Puglia, Valle d’Aosta e Marche, e per alcuni importanti comuni tra cui Trento e Venezia.
I giornali continuano a rilanciare su un possibile rimpasto di governo. Cosa c’è di vero?
Il rimpasto è la mossa classica dei governi che hanno bisogno di stabilizzarsi. Non è Conte a volerlo, lui beneficia degli attuali equilibri, ma Pd e 5 Stelle, per insofferenze verso alcuni ministri: il Pd mal tollera l’Azzolina all’Istruzione, mentre i 5 Stelle vorrebbero togliere la De Micheli dalle Infrastrutture.
Insofferenze verso singoli ministri o incompatibilità di fondo?
Non bisogna farne una questione manichea, si chiede il rimpasto per idealità politiche ma anche per ambizioni personali: Delrio vorrebbe fare il ministro, e avversa la De Micheli. Anche la Lamorgese è in bilico, mentre per l’ingresso al governo si sono fatti i nomi di Zingaretti e Guerini.
Il rimpasto servirebbe anche per risolvere l’immobilismo del governo?
Non vedo un governo immobile: ha appena incassato il Recovery Fund, ieri c’è stato il varo del Dl agosto. E ha resistito durante la più grande emergenza sanitaria dalla fine della Seconda guerra mondiale.
Intanto si aspettano i risultati dell’election day del 21 settembre e fino a quel momento si naviga a vista. Cosa può succedere dopo?
Il fatto che si parli di rimpasto già sgombra il campo da una crisi di governo, lo scenario che è stato a lungo raccontato dopo che solo in Liguria Pd e 5 Stelle hanno raggiunto un accordo su un candidato comune. Il governo non vuole la crisi, come si è visto nel caso Spadafora: quando la riforma del ministro dello Sport è stata tacciata dai 5 Stelle di intelligenza con Malagò, ritenuto uomo dell’establishment, Conte ha congelato tutto fino a settembre. Anche perché, quando inizi una crisi, non sai come ne esci.
E nessuno dei partiti al governo può permettersi di andare ad elezioni.
Spesso quando analizziamo questo scenario ci fossilizziamo sui sondaggi di 5 Stelle e centrosinistra, anche se di certo i due partiti non aspirano ad andare a elezioni. L’unico con un interesse a farlo tra i sostenitori del governo è Zingaretti, ma solo perché così potrebbe sostituire gli attuali gruppi parlamentari, che non controlla, con persone a lui fidate. Ma Zingaretti è in difficoltà, perché il suo Pd non supera il 20%.
Lei non crede che i partiti di governo avrebbero serie difficoltà alla prova del voto?
In realtà in Italia c’è una larga fetta di astensionisti, tra il 30 e il 35%, persone che non vogliono andare a votare: basta catturarne un 3% per ribaltare i rapporti di forza attuali tra maggioranza e opposizione. La parabola di Renzi ci ha insegnato che il consenso è ormai volatile. E poi anche il centrodestra non se la passa bene.
Che problemi vede nel centrodestra?
Dentro la Lega c’è una divisione sempre più forte tra l’ala pragmatica di Giorgetti e Zaia e il populismo di Salvini. E l’ascesa della Meloni complica il quadro della leadership di coalizione.
Cosa può succedere dopo il 21 settembre nel Pd?
Si potrebbe aprire una dinamica congressuale dopo le regionali, con Bonaccini a rappresentare la destra del partito contro Orlando, più attento alle dinamiche sociali.
E nei 5 Stelle?
I 5 Stelle sono spaccati in due o anche tre parti. C’è l’anima movimentista con a capo Di Battista e Casaleggio, e poi c’è la truppa governativa, divisa al proprio interno tra chi sostiene Di Maio e chi Conte. Il loro dualismo è ormai una realtà da diversi mesi.
Anche Conte ha un seguito dentro i 5 Stelle? Non è ritenuto troppo ingombrante dai parlamentari del Movimento?
Conte è l’unico personaggio che gode di consenso in un governo che, da quando siamo usciti dalla pandemia, è costantemente sotto accusa.
Il premier non rischia per la vicenda dei verbali su Alzano e Nembro?
No, lì sono le istituzioni della Regione Lombardia, Fontana e Gallera in primis, a rischiare.
I 5 Stelle sono debolissimi, non riescono neanche ad alzare la voce contro il Pd che minaccia di non sostenere il taglio dei parlamentari al referendum.
Credo che enfatizziamo troppo la debolezza dei 5 Stelle in questo governo, mentre è nello scorso governo che hanno visto evaporare i loro consensi. Nessuno, tra 5 Stelle e Pd, ha perso voti a favore dell’alleato di governo, come invece avvenne tra 5 Stelle e Lega, col travaso di voti a Salvini. Secondo me, è il Pd che non alza la voce contro i 5 Stelle, e mi sembra che i membri del Pd che si stanno sfilando dal sì al referendum siano una quota minoritaria.
Anche nei 5 Stelle c’è chi punta a un cambio di leadership?
L’area di Crimi individua in una donna la figura per rilanciare il Movimento, si parla della Taverna o della Appendino. Questa scelta però registra il dissenso interno di Casaleggio e Di Battista, quest’ultimo leader ideale per un futuro movimentista del Movimento. Bisogna vedere se i 5 Stelle arrivano insieme agli Stati generali del 4 ottobre o se qualcosa può farli dividere prima.
I 5 Stelle rischiano addirittura di dividersi?
La linea di Casaleggio e Di Battista è ormai incompatibile con quella governista di Conte. Di Maio è l’ago della bilancia tra le due posizioni. Si può sempre congelare tutto, ma la parola scissione non è più un tabù nel Movimento.
(Lucio Valentini)