Dopo un lungo periodo di lockdown si apre la fase della ripresa e certamente l’attenzione, oltre agli aspetti sanitari e quindi ai rischi di nuovi contagi, si focalizza sugli aspetti economici e in particolare sul lavoro.
I dati Istat su occupazione e disoccupazione sono poco significativi in quanto il mercato è sostanzialmente “drogato” dal blocco dei licenziamenti e da un ampio allargamento all’utilizzo della cassa integrazione (nelle sue varie forme). Analizzando i dati degli annunci di lavoro che le aziende pubblicano sul web possiamo osservare le dinamiche in atto e alcune specificità della situazione attuale.
Complessivamente, nel primo semestre del 2020 gli annunci mostrano un calo del 19% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno con un valore massimo al nord ovest pari a -21%, seguito dal nord est (-19%) e dal centro e sud e Isole (valore pari a circa -16%). Questa differenza a livello territoriale è la conseguenza diretta della gravità della pandemia nelle regioni del Paese.
Il calo della domanda si è ripercosso nei settori economici in modo differenziato mostrando i valori più negativi nel secondo trimestre 2020. Le attività manifatturiere hanno avuto un calo della domanda pari a -20% nel semestre, con il primo trimestre a -14% e il secondo a -26%; il calo più elevato è stato per il settore dei servizi di alloggio e ristorazione con un andamento tendenziale pari a -35% nel semestre (primo trimestre a -24% e il secondo a -47%); il commercio all’ingrosso e al dettaglio e le attività professionali scientifiche e tecniche si posizionano a -24% il primo e -22% il secondo (con valori molto più elevati nel secondo trimestre pari a -36% il primo e -40% il secondo); c’è poi il caso particolare del settore della sanità e assistenza sociale che si attesta nel semestre a +60% con valori del primo trimestre più elevati che nel secondo, in particolare pari a circa + 67% e +55% rispettivamente.
Come osservato, gli andamenti trimestrali mostrano un calo molto più elevato della domanda nel secondo trimestre. Tale dato è influenzato prevalentemente dal mese di aprile che mostra i valori più negativi e influenza significativamente il trimestre. È interessante notare che a seguito della riapertura delle attività produttive (fase 2 iniziata alla metà di maggio) si colgono segnali di ripresa o quantomeno di significativa riduzione dei valori negativi osservati nei mesi precedenti. Diverse professioni passano da valori negativi del mese di aprile a valori positivi in giugno: gli addetti alle pulizie passano da -26% (aprile 2020 vs aprile 2019) a +83% (giugno 2020 vs giugno 2019), gli sviluppatori web e multimediali da -21% a +75%, elettricisti, idraulici e riparatori e manutentori di impianti industriali che avevano ad aprile 2020 un valore negativo che oscillava tra -43% e -50% rispetto all’aprile 2019 si attestano a giugno a valori che vanno rispettivamente da +73% a +57%, camerieri, garzoni di cucina e baristi attenuano la loro negatività ma solo parzialmente passando da valori tendenziali di aprile 2020 pari a -94%, -87% e -94% rispettivamente, a -57%, -59%, -63% di giugno 2020 rispetto a giugno 2019.
Questi dati sono esemplificativi di una situazione in forte trasformazione che non può essere generalizzata, ma va osservata con attenzione nelle sue specificità e particolarità. Alcune aree del mercato del lavoro e in particolare le professioni a esse associate sono in forte crescita (sanità e assistenza sociale), alcune stanno riprendendo con dei buoni indicatori di performance (professioni dell’informatica, di alcuni settori del manifatturiero e dei servizi) e altre sono ancora in grossa difficoltà (professioni del commercio al dettaglio, dei servizi di alloggio e ristorazione).
Queste esemplificazioni ci portano a due considerazioni: la prima è che politiche di intervento a sostegno dell’occupazione generaliste e fondamentalmente assistenziali rischiano di generare grossi sprechi economici; la seconda è che per sostenere la crescita dell’occupazione occorre avere una idea di sviluppo economico e produttivo.
In questo periodo il Governo (o direttamente o tramite fondi europei) sta mettendo e metterà in gioco forti somme di denaro per rispondere alla crisi in atto e per sostenere la ripresa economica e dell’occupazione. Il Decreto di agosto prevede la proroga, praticamente, di tutti gli ammortizzatori sociali attualmente in essere. Sostenere il reddito dei lavoratori delle imprese in difficoltà è comprensibile, ma puntare “tutto” o quasi sui sussidi è limitato e poco lungimirante. Occorre un sano realismo e la consapevolezza che non tornerà tutto come prima. Qualsiasi crisi lascia qualche cambiamento strutturale e questa crisi si è innestata in un momento di forte trasformazione economica e produttiva e implicherà ulteriori e “imprevisti” interventi di ristrutturazione del sistema delle nostre imprese, delle filiere produttive e delle singole imprese. È evidente in questo senso che le disponibilità economiche andrebbero principalmente utilizzate per sostenere e accompagnare il cambiamento, non come spesso si è fatto negli ultimi decenni per puntellare una situazione, uno status quo che comunque non resisterà.
Per creare lavoro occorre riformulare una politica industriale di medio lungo periodo, identificare le aree strategiche su cui puntare, sostenere la crescita di filiere produttive, investire nella ricerca e nei nuovi mercati e contemporaneamente sostenere lo sviluppo della crescita professionale attraverso il potenziamento delle strutture e delle attività di istruzione e formazione. Occorre un forte cambio di rotta nella consapevolezza che le imprese – profit e non profit – creano lavoro e le persone creano, sostengono e sviluppano le imprese.