Parafrasando Sandro Penna, felice il B-Movie che è un vero B-Movie, guai però se finge di essere qualcos’altro. The Old Guard, film di Gina Prince-Blythewood prodotto e distribuito da Netflix, fa di tutto e anche un po’ goffamente per sembrare qualcosa che non è, per esempio un blockbuster d’azione all’avanguardia.
La storia, tratta dai fumetti di Rucka e Fernandez, racconta degli Immortali, un gruppo di mercenari capaci di rigenerare le ferite di ogni tipo che da secoli cerca di salvare il mondo o migliorare le condizioni dell’umanità. La loro esistenza è in pericolo quando un’azienda farmaceutica, venuta a sapere della loro esistenza, cerca di prenderli per poterli studiare; per fortuna che grazie alle loro connessioni mentali scovano una nuova ragazza, pronta a unirsi al gruppo.
Greg Rucka, autore del fumetto di partenza, fa quello che si chiede a un fumetto e quindi a un film di nuova generazione che al mondo del fumetto deve molto, ossia sfoderare la mitologia su cui costruire una serie di film, porre la basi di un mondo narrativo più che di un racconto, mescolando la fantastoria – versione Highlander, più o meno – con l’azione contemporanea a marchio Netflix (da Tyler Rake in giù).
Quindi la Storia o l’attualità come pretesto, una patina visiva apparentemente seriosa, arti marziali e sparatorie, un vago e onnipresente sapore militaresco più quella componente soprannaturale che fa presa sul pubblico (post)adolescente. Sul senso del film-algoritmo nel cinema contemporaneo sono stati scritti saggi per cui non mi dilungherò, però l’operazione The Old Guard ha lo stesso sapore di un hamburger confezionato al fast-food, ovvero uguale a ogni altro panino dello stesso negozio.
Proviamo quindi a concentrarci sulle differenze, su cosa potrebbe rendere il film di Prince-Blythewood più appetibile: c’è la componente “minoranze”, che a pensare male è forse l’unica che possa attrarre l’attenzione, e con quella parola intendiamo tutto ciò che non è privilegiato, ovvero i maschi bianchi etero e cisgender. Dalla regista donna afro-americana fino al gruppo degli Immortali, la rappresentanza su basi sociologiche sembra l’unico criterio con cui si sia costruito la sceneggiatura, lasciando ai maschi caucasici ed etero il ruolo di cattivi o simili. Eppure il film non sfrutta mai questa sua scelta, non ne fa un vero “gesto politico” (come invece molta della narrativa fantasy e Young adult degli ultimi anni ha fatto tra cinema, fumetti e letteratura), si limita a timbrare il cartellino.
E poi? Bella domanda: trovare qualcosa da salvare in un film che stona in un contesto diverso dal pomeriggio di una tv in chiaro è difficile. Forse Charlize Theron, che sfrutta il suo naturale carisma anche se non sembra molto interessata al personaggio, in parte Luca Marinelli, ma tutto ciò che ha anche fare con l’esperienza filmica non supera mai i limiti di un pilota tv (e il modo in cui punta al sequel, come fanno molti film contemporanei, vedasi Artemis Fowl, ne dimostra lo status): il look piatto e scipito delle immagini, la mediocrità delle scene d’azione ripetutamente aggiustate con il micro-montaggio digitale, l’andamento narrativo pesante, senza ritmo o pathos a supplire almeno un po’ alla mancanza di ironia. Ecco, sono le pretese mancate, le velleità seriose e sul filo dell’epica a rendere The Old Guard un fallimento sia come quasi-kolossal, sia come B-Movie, è nella regia che non riesce a capire cosa essere che risiede il punto debolissimo di un film così e di molti film analoghi.
D’altronde, di un momento storico e industriale in cui la figura del regista, almeno come lo conoscevamo, non merita neppure più il nome sopra i titoli, cosa ci potevamo aspettare?