Il pasticciato intervento legislativo di modifica delle modalità di proroga dei vertici dei servizi italiani infilato dal governo nel decreto legge n. 83 del 30 luglio 2020 sulla proroga dello stato d’emergenza Covid, ha acceso i riflettori su un tema complesso e delicato, quello della durata delle cariche dei direttori di Dis, Aise ed Aisi. Il decreto legge n. 83, che ha prorogato al 15 ottobre lo stato d’emergenza legato al Covid, ha anche inaspettatamente modificato la legge 124 del 2007, ovverosia la norma che regola il funzionamento dei servizi di sicurezza interni, dell’intelligence esterna e del dipartimento centrale di coordinamento delle due agenzie.
Gli articoli 4, 6 e 7 della legge 124 normavano la nomina dei tre vertici del sistema per l’informazione e la sicurezza, stabilendo che essi fossero nominati e revocati dal presidente del Consiglio dei ministri, con la sibillina formula “l’incarico ha comunque la durata massima di quattro anni ed è rinnovabile per una sola volta”. Il combinato disposto del limite personale e di quello temporale indica lo spirito della legge, e sino ad oggi la norma è stata interpretata con il limite di un solo rinnovo nell’arco dei quattro anni, tant’è che da quando esiste la legge attuale nessuno dei direttori del Dis, dell’Aise o dell’Aisi ha mai superato i 4 anni di incarico. Per i direttori delle agenzie la prassi sino ad oggi ha prevalentemente seguito il metodo più restrittivo del 2+2.
Il nuovo testo introdotto con l’articolo 6 del decreto legge n. 83 prevede invece che i vertici dei servizi italiani possano essere nominati più volte “con successivi provvedimenti per una durata complessiva massima di ulteriori quattro anni”. Due ci appaiono essere le modifiche significative: il fatto che uno stesso direttore possa essere rinnovato più volte e la specifica che i quattro anni sono “ulteriori”; quest’ultima aggiunta esplicita quello che forse era implicitamente ambiguo nella norma del 2007, ossia che il rinnovo rappresenta un nuovo incarico rispetto al primo, dunque fuori dal limite quadriennale. Insomma, con le modifiche introdotte con il decreto legge n. 83 il governo interpreta e modifica la norma sui servizi rivendicando il diritto di nominarne i vertici per un periodo che può arrivare fino ad otto anni, senza ulteriori limitazioni. Circostanza quest’ultima che rende possibile anche la delicata prassi di reiterazioni successive di più incarichi a breve termine.
La modifica introdotta su un punto ambiguo del testo del 2007 ci appare essere, se non una inversione della norma, quantomeno una nuova lettura dello spirito della legge e della prassi seguita sino ad oggi che desta più di una perplessità. Non tanto per il contenuto della norma, quanto per il metodo seguito, utilizzando un decreto legge emergenziale su un’altra materia, senza dibattito in Parlamento e senza coinvolgimento formale del Comitato parlamentare di controllo sui servizi (Copasir).
Numerosi e condivisibili possono essere oggi i motivi per una revisione della legge del 2007, il cui impianto risale almeno ad un decennio precedente ed è il frutto della prima riforma organica con cui si è voluta modificare la legge del 1977. È tuttavia importante che tali modifiche avvengano con i dovuti strumenti legislativi e nell’ambito di un più ampio processo di riforma e potenziamento delle strutture di intelligence, mai come oggi chiamate a far fronte a sfide di natura molteplici e multidirezionali. Il più grande ostacolo a questo auspicato potenziamento delle strutture di intelligence e sicurezza nazionali è rappresentato proprio da tutti quegli atti che alimentano un clima di sfiducia tra esecutivo e opposizione e tra opinione pubblica e Parlamento su come sono modificate ed interpretate le principali norme di governo del sistema di informazioni e sicurezza della Repubblica. E il decreto del 30 luglio rischia di essere uno di questi.
Ogni sistema di intelligence, al di là dell’impianto normativo, ha bisogno per poter operare efficacemente di dosi massicce di flessibilità che non sono richieste ad altre amministrazioni e che non possono essere scritte nelle leggi. Flessibilità che impone la costruzione di una “nuvola di fiducia” su cui le principali questioni legate alla sicurezza nazionale devono poggiare, in qualche modo messe a riparo dalle asperità quotidiane della politica. La sortita del governo con il decreto legge 83 “buca” questa nuvola. Certamente per la forma, forse anche per la sostanza.
Il cuore di ogni meccanismo di intelligence è rappresentato proprio dal rapporto tra intelligence e politica e dai meccanismi di controllo e responsabilità delle agenzie. La riforma del 2007, centralizzando la catena di comando dell’intelligence nel presidente del Consiglio, ha posto in capo ad esso il delicato onere di mantenere in equilibrio il sistema di informazioni e sicurezza. Un onere che potrebbe confliggere con altre funzioni politiche del capo dell’esecutivo e per questo la legge ha previsto la figura dell’autorità delegata. Figura di cui l’attuale presidente del Consiglio ha deciso, per sua scelta, di non avvalersi. E questa è, probabilmente, l’anomalia principale che ha messo in tensione il sistema.
Sarebbe difatti opportuno che, soprattutto in momenti in cui l’esecutivo è guidato da rappresentanti non eletti, venissero evitate modifiche non dibattute e non condivise del sistema dell’intelligence italiano, che può contare su un ottimo patrimonio qualitativo delle agenzie e su una legge certamente perfettibile, ma che ha avviato la modernizzazione e professionalizzazione dell’intero sistema, raggiungendo un delicato equilibrio tra i poteri.
Ci appare pertanto auspicabile che in sede di conversione del decreto legge n. 83 le modifiche introdotte alla legge 124 del 2007 siano ricondotte allo stretto necessario delle esigenze documentatamente riconducibili all’emergenza Covid e temporaneamente limitate ad esse. E che ogni altra esigenza venga invece inserita e discussa nel contesto di un più ampio disegno di efficientamento del sistema d’intelligence, da realizzarsi nel quadro di un ampliamento della funzione di pianificazione politico-strategica nazionale.
Funzione politico-strategica non più gestibile all’interno dei ristretti spazi attuali, troppo legati alla dimensione operativa e a una visione prevalentemente di sicurezza nazionale, e che beneficerebbe della creazione di un organo neutrale di grande visione strategica, a supporto non solo del governo, ma delle autonomie territoriali, dei singoli dicasteri, del Parlamento e della stessa presidenza della Repubblica. Un National Strategic Council che si occupi prevalentemente di grand strategy e di identificazione delle minacce di lungo periodo, in stretta collaborazione con il Sistema di informazioni e sicurezza della Repubblica.
Difatti, se c’è una lesson learned da trarre dalla crisi del Covid questa non riguarda la durata in carica dei vertici del sistema dell’intelligence nazionale, ma piuttosto la necessità di dotare l’Italia di una più ampia capacità di visione politico-strategica che sappia vedere oltre il campo stretto della gestione della sicurezza nazionale.