Graziano Delrio, capogruppo del Pd alla Camera, conferma la bontà del patto con M5s – “abbiamo fermato chi invocava i pieni poteri e aveva isolato l’Italia in Europa” – ma chiede che diventi più forte e avverte Conte e i 5 Stelle: “lo Stato può e deve fare di più, ma non deve fare tutto. Non può diventare Stato-padrone”. Oggi Delrio sarà al Meeting di Rimini per partecipare all’incontro organizzato dall’Intergrupppo parlamentare per la sussidiarietà sul tema “Il parlamento serve ancora?”.
Onorevole Delrio, le giro la domanda: il parlamento serve ancora?
Sicuramente sì. La costruzione di una società equilibrata e rispettosa dei diritti ha bisogno di un equilibrio vero tra i poteri esecutivo, legislativo e giudiziario. Questo equilibrio ha fatto diventare l’Italia una democrazia e senza di esso non esiste democrazia liberale.
Come mai il Pd è sempre stato uno strenuo difensore del parlamentarismo e adesso è per la riduzione del numero dei parlamentari?
Noi diciamo da tempo che il parlamentarismo così come era stato concepito nel dopoguerra era incompiuto: bisognava dare ad una delle due camere il ruolo di rappresentanza dei territori. Era il vecchio progetto autonomista democristiano di Sturzo e altri.
Poi la storia è andata da un’altra parte?
Per motivi storici il Senato, invece di fare la camera delle regioni, è diventato una copia della Camera dei deputati. La nostra aspirazione è sempre stata quella di ridurre il numero dei parlamentari cancellando il bicameralismo perfetto, con una sola Camera più un Senato delle Regioni.
Ma quella riforma è stata bocciata dal referendum del 2016.
Sì. E la riduzione dei parlamentari era contenuta nella riforma del Senato.
E adesso?
Riteniamo che la riduzione prevista, così com’è stata impostata, per essere efficace e non pericolosa per la nostra democrazia, abbia bisogno di essere accompagnata da altre modifiche costituzionali.
Quelle che avete concertato nel programma di governo quando è nato il Conte 2. Lei era seduto a quel tavolo.
Infatti. Si tratta di due riforme che servono per tenere in piedi un tavolino a tre gambe. Non possono mancare. Oltre alla riduzione dei parlamentari c’è bisogno di una revisione delle circoscrizioni del Senato per evitare che diverse regioni, con una riduzione così drastica, non abbiano nemmeno un senatore. Sarebbe un deficit di rappresentanza.
E poi cos’altro?
L’adeguamento dell’elettorato passivo e attivo per Camera e Senato, cioè 18 anni per votare e 25 per essere eletti in entrambe le camere. In più vanno corretti i delegati per l’elezione del presidente della Repubblica. La terza gamba era la legge elettorale.
Altro capitolo controverso. Siamo ancora in alto mare. Quale legge elettorale serve?
Occorre un sistema che dia rappresentanza a tutte le forze politiche impedendo che una sola di esse possa modificare la costituzione. Tutte le riforme sono avviate, la riforma potrà dirsi compiuta quando tutto andrà in porto.
Non si rischia che passi la riduzione dei parlamentari e non ci sia una legge elettorale per portare il paese al voto in caso di necessità?
Il rischio che c’è, ma una legge elettorale è comunque in vigore (il Rosatellum, per quanto inapplicabile perché non coerente con la nuova composizione delle camere, ndr). Non è non è quella che secondo noi garantisce l’equilibrio di cui parlavamo, ma le forze politiche si sono impegnate a proseguire in questo cammino di modifica della legge elettorale; confidiamo che almeno in commissione venga fatta al più presto la prima approvazione.
Come mai un partito a vocazione maggioritaria come il Pd adesso è proporzionalista?
Io penso che la vocazione maggioritaria di un partito non si misuri solo nella quantità di collegi uninominali che riesce ad aggiudicarsi. Con una soglia di sbarramento alta anche in un sistema proporzionale avviene una concentrazione dei voti sui partiti maggiori. È l’effetto maggioritario che normalmente si verifica nel sistema proporzionale tedesco.
Il patto con M5s è nato come accordo di governo e adesso si estende alle alleanze locali. Non temete che “fermare Salvini” sia un requisito debole per far durare a sufficienza un governo e dare organicità al patto?
Assolutamente sì. Insieme abbiamo scongiurato una deriva illiberale della nostra democrazia, fermando uno che invocava i pieni poteri e aveva isolato l’Italia in Europa. Questo lo ritengo un risultato importantissimo. In più crediamo che sia cambiato profondamente l’atteggiamento dei 5 Stelle su diverse questioni, in particolare verso l’Europa. Di Maio è un ministro degli Esteri capace, rappresenta bene l’Italia e ne mantiene la tradizione europeista.
E adesso?
Scampare il pericolo non è sufficiente. Adesso c’è bisogno di avere un’alleanza più forte con obiettivi più chiari, riconoscibili, che non abbia sbandamenti e si chiarisca su alcuni punti.
A che cosa si riferisce?
Ritengo molto importante il ruolo dello Stato nella società e nell’economia. In una cultura democratica come quella sancita dalla nostra costituzione, la forza della repubblica sta nelle sue articolazioni sociali: famiglie, associazionismo, sindacati. In fasi molto delicate di crisi come questa lo Stato può e deve fare di più, ma non deve fare tutto. Non può diventare Stato-padrone.
A chi lo dice?
Osservo semplicemente che c’è una tendenza a uno statalismo eccessivo in alcuni toni e in alcune proposte che arrivano sul tavolo del parlamento.
Il suo è un segnale al governo?
Si è tentati di dire: siccome adesso lo Stato può spendere tanto, allora diventi azionista di tutto. È una tentazione che secondo me va rifuggita. Dobbiamo fare in modo che le imprese e le famiglie vengano sostenute nel loro lavoro, non che lo Stato prenda il loro posto.
A proposito di pieni poteri. Non temete che il prolungamento dello stato di emergenza e i Dpcm di Conte possano diventare imbarazzanti per il Partito democratico?
Abbiamo già chiesto e ottenuto dal presidente del Consiglio, che ringraziamo per la sensibilità, che vi sia un dialogo molto più stretto. Negli ultimi due mesi è stato così. Il governo viene a riferire preventivamente ogni volta che deve emanare un Dpcm o un decreto. Il controllo del parlamento è molto più serrato e sta funzionando.
Sì o no al Mes?
Assolutamente sì, perché quei soldi, a differenza di quelli di Next Generation Eu che ci saranno tra un anno, sono pronti subito e a interessi favorevoli. Abbiamo bisogno di investire subito moltissimo nella sanità, specialmente quella territoriale, che coinvolge il privato sociale e l’associazionismo e renderla adeguata a fronteggiare le prossime crisi.
Lei è stato ministro dei Trasporti. Si continua a dire che dovremmo applicare in tutta Italia il modello ponte di Genova. Si può fare?
Il modello Genova non è replicabile perché aveva caratteristiche eccezionali, dal progetto al tracciato già pronto fino ai turni di lavoro.
Perché i cantieri non partono?
Non è così. I dati dicono che in Italia da tre anni a questa parte gli appalti continuano a crescere. Chi racconta di cantieri fermi lo fa per avere scorciatoie e per non rispettare le regole europee. Il vero nemico delle opere pubbliche è la corruzione e la mancanza di buona progettazione.
Non la troppa burocrazia?
La troppa burocrazia è uno degli elementi, ma un conto è diminuire la burocrazia, che resta un obiettivo importante, un conto è eliminare le regole e questo non va fatto.
(Federico Ferraù)