Si continua a parlare di quota 100 in vista dell’8 settembre, quando riprenderanno gli incontri tra il ministro Nunzia Catalfo e le confederazioni sindacali. Durante le ferie estive ha percorso la Penisola un grido d’allarme: le domande per avvalersi del super esodo sono in calo e al di sotto delle previsioni. A che cosa si deve questo imprevisto assenteismo dall’albero della cuccagna?
La situazione generale dell’economia portava a ritenere che la fuga verso la pensione rappresentasse un’uscita di sicurezza per tanti lavoratori (il maschile non è casuale perché quota 100 non è una misura per donne), preoccupati per il loro posto di lavoro e, magari, messi in Cig fin dall’inizio del lockdown. Il mancato verificarsi dell’esodo previsto ha suscitato parecchie congetture, in generale riconducibili ad una spiegazione prevalente: i lavoratori si sono messi in posizione di attesa, allo scopo di maturare una maggiore anzianità di servizio allo scopo di conseguire un trattamento più elevato.
Se questa fosse la tendenza – confermata anche in tempi di crisi – vorrebbe dire che i lavoratori sono più avveduti dei sindacati, i quali continuano a privilegiare un’età pensionabile che sia la meno elevata possibile anziché la riscossione di un assegno più consistente (non si dimentichi mai che l’adeguatezza delle pensioni dipende in primo luogo da un più lungo periodo di attività).
Il fatto è che i lavoratori sono più informati di molti di coloro che scrivono o parlano di pensioni; e sanno che è sufficiente maturare i requisiti previsti per quota 100 entro il 31 dicembre 2021 per acquisire il diritto di avvalersene anche in un periodo successivo alla scadenza della deroga (“Il diritto conseguito entro il 31 dicembre 2021 può essere esercitato anche successivamente alla predetta data, ferme restando le disposizioni del presente articolo. Il requisito di età anagrafica di cui al presente comma, non è adeguato agli incrementi alla speranza di vita di cui all’articolo 12 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122”)
Pertanto, per chi si trova in queste condizioni non c’è nessuna fretta di correre il pensione. Inoltre – come abbiamo più volte scritto citando un Rapporto della Corte dei Conti – essendo previsti due requisiti rigidi (62 anni di età e 38 anni di contributi) è capitato che tanti, in possesso dell’anzianità di servizio occorrente, non avessero ancora compiuto i 62 anni e altrettanti si siano trovati in una situazione invertita. Così, l’età media degli utenti è scivolata verso i 64 anni e l’anzianità media verso i 41. Tutto ciò premesso è utile confermare queste considerazioni con recenti statistiche (al 10 agosto u.s.) per quanto riguarda le pensioni anticipate.
Segue una valutazione degli oneri fino al 2030 (si tiene conto anche del numero di soggetti che, pur avendo maturato i requisiti entro le scadenze previste, sceglieranno di avvalersi del diritto successivamente).
In conclusione, nelle posizioni del governo e in quelle dei sindacati (la conferma proviene anche dalle statistiche riportate), si continua a sottovalutare la questione demografica. In Europa a ogni pensionato corrispondono 4 lavoratori, ma nel 2050 il rapporto sarà di 1 a 2. In Italia ad ogni occupato corrisponde già ora una prestazione previdenziale/assistenziale. Il problema della minor disponibilità di contributi, inoltre, è destinato ad aggravarsi ulteriormente in ragione delle trasformazioni del rapporto di lavoro nel senso di una minore stabilità e continuità.
Questa tendenza, che si è iniziata a osservare negli anni Novanta in Giappone, è oggi evidente anche in alcuni Stati europei come ad esempio Regno Unito e Spagna. Con riferimento a questo squilibrio tra la popolazione attiva e quella in pensione, la letteratura internazionale di riferimento ha contrapposto quattro possibili soluzioni.
Innanzitutto, l’innalzamento della soglia dell’età minima di pensionamento, al fine di aumentare la percentuale di lavoratori e, quindi, di contribuenti. Alcuni Paesi si sono già mossi in questa direzione: il Giappone ha recentemente approvato una legge che, dal 2025, innalzerà tale soglia ai 65 anni. Nel Regno Unito, è stata presentata una proposta di legge che innalzerebbe l’età pensionabile in due momenti: a 65 anni, nel 2020, e a 68 anni, nel 2046. Analogo è il dibattito recente che si registra in Germania, e ancor di più in Danimarca con una proposta volta a innalzare l’età di pensionamento addirittura ai 74 anni.
Una seconda soluzione consiste nel facilitare l’accesso e la permanenza nel mercato del lavoro alle donne e ai lavoratori over 65. Una maggiore partecipazione da parte di queste categorie determinerebbe un rapporto più equilibrato tra forza lavoro e pensionati e, quindi, migliori tassi di crescita.