Il 20-21 settembre 2020 gli italiani saranno chiamati a votare sulla proposta di riduzione del numero dei parlamentari. Il dibattito politico svilisce l’importanza del referendum bollandolo semplicisticamente o come manovra populista o come atto dovuto nei confronti dei cittadini. Il tema è però più complesso. Attualmente gli artt. 56 e 57 della Costituzione fissano il numero dei parlamentari in 630 deputati e 315 senatori (945 parlamentari). Ad essi vanno aggiunti i senatori a vita di diritto (ossia “chi è stato Presidente della Repubblica”) e di nomina presidenziale (ossia cinque cittadini che “hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”) (art. 59 Cost.). La riforma – sulla quale saremo chiamati a esprimerci mediante referendum (per il quale non è richiesto il raggiungimento di un quorum) – propone di ridurre il numero dei deputati a 400 e quello dei senatori a 200. In caso di approvazione si passerebbe da 945 parlamentari a 600 parlamentari (un “taglio” del 36,5%). La legge di riforma costituzionale propone anche di modificare la formulazione letterale dell’art. 59 della Costituzione per chiarire che i senatori a vita nominati dal Presidente della Repubblica complessivamente non possono essere superiori a cinque e non cinque per ogni Presidente della Repubblica (come a volte accaduto nella storia della Repubblica).
La riduzione del numero dei parlamentari è però senz’altro la modifica principale e che merita attenzione. Preferendo ragionare “per argomenti” e non “per partito preso” (anche perché gli stessi partiti al loro interno sono divisi sul tema) proverò a individuare in estrema sintesi e con sacrificio di sfumature alcuni argomenti a favore e contro la riduzione che ci viene proposta.
A favore della riduzione si richiama spesso l’abbattimento dei costi della politica (stimati in circa 285 milioni di euro ogni cinque anni). L’argomento economico, nonostante sia quello maggiormente esaltato da certa politica, è anche quello più debole e di certo non quello principale. All’argomento economico si associano spesso anche considerazioni di giustizia distributiva (“gli italiani hanno tirato la cinghia: ora la classe politica faccia la sua parte”) e di giustizia retributiva (“il parlamento lavora poco e male e quindi merita di essere pagato meno”), a volte anche con intenzione “punitiva” o “segnaletica” (“la classe politica lavora male; mandandoli a casa daremo un monito per l’avvenire”). Ma anche questi argomenti lasciano il tempo (si spera breve) che trovano.
Le vere ragioni a favore del taglio dei parlamentari sono altre: (i) la semplificazione dell’attività parlamentare perché, di regola, meno si è più è facile accordarsi, si litiga meno, si lavora meglio e si produce di più; (ii) una migliore selezione della classe politica perché riducendosi i posti degli eletti i partiti per essere votati devono proporre persone qualitativamente apprezzate senza che ci sia posto per “i soliti noti”; (iii) l’avvicinamento della politica ai cittadini perché è più facile conoscere e controllare l’operato di un minor numero di parlamentari; (iv) infine una chance per il cambiamento perché anche ritenendo che il “taglio” non contribuisca a semplificare il parlamento, in ogni caso ridurre il numero dei parlamentari “cambia le carte in tavola” e crea l’occasione per riformare quelle leggi collegate che oggi allontanano il parlamento dai cittadini e lo rendono lento e farraginoso (es. legge elettorale, regolamenti parlamentari, legge sulla democrazia interna nei partiti etc.).
Contro il taglio dei parlamentari militano argomenti di altrettanto peso: (i) ridurre il numero dei parlamentari sacrifica eccessivamente la rappresentatività dei cittadini e delle tante sfumature presenti nella società italiana non soltanto perché numericamente ci sarebbero meno parlamentari ma anche perché i partiti riempirebbero i pochi posti disponibili solamente con i “fedelissimi” senza lasciare spazio per soggetti rappresentativi delle molte categorie sociali; (ii) i risparmi di spesa e la semplificazione dei lavori parlamentari possono essere ottenuti in altri modi che non sacrifichino la rappresentatività dei cittadini, per esempio intervenendo con riforme più puntuali sulla legge elettorale e sui regolamenti parlamentari; (iii) il taglio dei parlamentari se non associato a una modifica della legge elettorale rischia di aumentare l’ingovernabilità perché rende più difficile formare stabili maggioranze in parlamento; (iv) tagliare i parlamentari riduce la produttività del parlamento perché è difficile che un numero così basso di parlamentari (soprattutto di senatori – 200) riesca a svolgere adeguatamente tutte le funzioni dell’organo; (v) il taglio dei parlamentari proprio perché proposto con toni “populisti” svilisce definitivamente la già debole immagine del parlamento offrendone una rappresentazione (sbagliata) di istituzione non utile ai cittadini.
L’elenco potrebbe continuare a lungo da entrambi i lati. Ogni argomento ha la sua risposta e ogni risposta la sua contro risposta. Un esame più preciso e dettagliato andrebbe però oltre quanto consentito dallo spazio di un breve articolo. Tuttavia l’equilibrio tra le posizioni suggerisce alcune considerazioni personali che spero possano aiutare per un voto consapevole.
Innanzitutto, trovo ingiusto ridurre la riforma a una questione di budget. Come visto, non soltanto i modi per risparmiare sono altri (es. tagliare le indennità forfetarie dei parlamentari) ma le numerose conseguenze (positive e negative) della riduzione dovrebbero suggerire a tutti e due gli “schieramenti” più di un motivo di riflessione (e senz’altro ben più rilevante di quello sul risparmio di spesa).
In secondo luogo ritengo sia sbagliato bollare la riforma come demagogica e rifiutarla soltanto perché a volte proposta con toni (o intenti) “populisti”. Sebbene i “sostenitori del taglio” spesso non argomentino con particolare dettaglio la loro opinione, in realtà la riduzione del numero dei parlamentari non sembra dettata principalmente da ragioni di demagogia ma sembra rispondere a un’esigenza di semplificazione diffusa persino nella classe politica. Non è un caso che la riduzione del numero dei parlamentari abbia incontrato il favore di forze politiche differenti, non tutte tacciate di populismo, e che in passato sia stata sostenuta dalla Commissione di esperti per le riforme costituzionali nominata da un governo sicuramente non sospettabile di demagogia (il Governo Letta).
In terzo luogo credo che la riduzione del numero dei parlamentari di per sé sola non sia una risposta proporzionata ai problemi del malfunzionamento parlamentare e del suo allontanamento dai cittadini. In astratto questi problemi dovrebbero essere risolti intervenendo con più precisione sulle loro cause e quindi sulla legge elettorale, sui regolamenti parlamentari, sul bicameralismo perfetto etc. In concreto la realtà di questi anni ha però dimostrato che il parlamento ha sempre rimandato queste riforme perché non in grado di raggiungere un accordo su temi così delicati. La proposta del taglio dei parlamentari sembra quindi un tentativo non proporzionato ma l’ultimo rimasto per obbligare i partiti a rendere più rappresentativo e più efficiente un parlamento che attualmente non lo è e che senza una spinta non è in grado di intervenire puntualmente. È possibile abbattere un albero con un colpo di cannone, se si ha solamente quello e non una motosega; sparare il colpo ha un prezzo e occorre valutare se il gioco valga la candela.
Infine, credo che ridurre il numero dei parlamentari non significhi necessariamente ridurre la rappresentanza ma cambiarla: si può essere rappresentati perché i posti disponibili in parlamento consentono di inserire un esponente della propria categoria (“uno che ci crede”) ma – come avviene negli Usa – si può anche essere rappresentati quando i pochi eletti, pur non credendo intimamente nelle battaglie di certe categorie, si offrono di rappresentarne gli interessi in cambio del voto (“uno che esegue”).
Se il taglio dei parlamentari avvicini i partiti alle esigenze dei cittadini o ne segni il definitivo allontanamento è questione discussa e ci interroga: in meno è meglio?