L’andamento delle assunzioni e delle cessazioni dei rapporti di lavoro comunicati mensilmente dall’Osservatorio statistico dell’Inps non devono essere fraintesi con l’andamento del numero degli occupati periodicamente rilasciati nei bollettini dell’Istat, perché una buona parte di questi rapporti riguardano singoli lavoratori a termine, intermittenti, somministrati, stagionali e occasionali, protagonisti di più episodi di attivazione e cessazione.
Questo tipo di calcolo, nel caso di trasformazione di contratti a termine in tempo indeterminato, determina un effetto positivo sugli andamenti dei contratti a tempo pieno che non corrisponde, ovviamente, a nessun incremento della occupazione. Tra l’altro, la platea presa in considerazione dal monitoraggio operato dall’istituto di previdenza, che inspiegabilmente continua a definirlo come Osservatorio sul precariato, esclude il lavoro autonomo, la pubblica amministrazione e il lavoro domestico, che nell’insieme rappresentano più di un terzo del mercato del lavoro.
Tutto ciò premesso, l’analisi dei dati rilasciati dall’Inps rimane utile per comprendere i comportamenti in atto nelle imprese e nel mercato del lavoro, che per buona parte dei primi 5 mesi del 2020, presi in considerazione dal bollettino, sono stati influenzati dai provvedimenti amministrativi adottati per contenere i contagi Covid, che hanno comportato una sostanziale paralisi delle assunzioni nei mesi di marzo, aprile e maggio, e una sospensione delle dismissioni dei lavoratori in relazione al blocco dei licenziamenti disposto fino al mese di agosto (e, successivamente, parzialmente prorogato sino alla fine dell’anno in corso).
L’andamento negativo delle nuove attivazioni (-43% rispetto ai primi 5 mesi del 2019) è principalmente riconducibile alle mancate assunzioni di lavoratori a termine (-552mila), con rapporti di lavoro in somministrazione o intermittenti (-247mila) e di lavoratori stagionali(- 210mila).
Sul versante opposto i rapporti a tempo indeterminato (+237mila) beneficiano, almeno in via provvisoria, del blocco dei licenziamenti disposto per via amministrativa.
Analizzati nel dettaglio, questi numeri si prestano ad alcune ulteriori considerazioni. La tendenza alla riduzione delle assunzioni, che diventa dirompente nei mesi dell’emergenza Covid, in realtà era già iniziata nel secondo semestre del 2019. Come segnale di un progressivo indebolimento del ciclo produttivo e del mercato del lavoro in atto nella fase precedente della crisi Covid. Il saldo negativo tra il numero dei rapporti di lavoro attivati e cessati, oltre 750mila rispetto al 31 maggio del 2019, è destinato a proseguire nei prossimi mesi, sia pure con meno vigore.
Ma non ha ancora espresso il potenziale delle mancate dismissioni di personale delle aziende contenuto per effetto del blocco dei licenziamenti e l’utilizzo delle casse integrazioni, che coinvolgono ancora circa 2 milioni di lavoratori. Misure destinate comunque ad esaurirsi nel tempo con le relative conseguenze sul mercato del lavoro.
Nell’insieme queste tendenze confermano che le politiche messe in atto per contrastare gli effetti occupazionali dell’emergenza sanitaria, anche se comprensibili ai fini di contenere le potenziali conseguenze sociali, sono destinate a produrre fratture molto serie tra i lavoratori protetti e quelli in cerca di lavoro, con una particolare esposizione per i giovai e per le donne.
La lettura di queste criticità dovrebbe consigliare le autorità governative e le parti sociali ad adottare quanto prima i necessari correttivi a queste politiche. Con iniziative che non possono essere limitate all’ennesima promessa di riformare gli ammortizzatori sociali.