Il referendum sul taglio dei parlamentari non vede posizioni unitarie dei partiti, tranne i 5 Stelle che sperano finalmente di intestarsi una battaglia politica vincente. Il Pd ha subordinato il sì all’approvazione di una nuova legge elettorale, ventilando i gravi rischi che porta con sé un taglio dei parlamentari senza gli opportuni correttivi legislativi. Salvini si è schierato per il Sì, ma ha lasciato libertà di coscienza nella Lega. Renato Brunetta si è schierato apertamente per il No, anche se Forza Italia, come la Lega, ha votato il taglio dei parlamentari. Anche tra i costituzionalisti c’è una larga diversità di vedute. Il 24 agosto Valerio Onida ha rilasciato un’intervista per il Sì al taglio dei Parlamentari a Repubblica. Dall’altra parte c’è l’appello dei “Costituzionalisti per il No”, promosso dall’Huffington post, che ha raggiunto 200 firme.
Ne abbiamo parlato con Sabino Cassese, giudice emerito della Corte Costituzionale, che sostiene la tesi per cui il taglio dei parlamentari non porterà a grossi cambiamenti funzionali: “Non significa nulla di serio per il Parlamento, serve solo a dare visibilità a forze politiche in crisi”. Il vero dramma, per Cassese, è proprio questo, “aver cambiato la Costituzione senza un fine politico, che poteva essere il monocameralismo”, e il fatto che i segretari avranno ancora più problemi di prima. “Il potere legislativo è ormai nel governo, anzi, nella conferenza dei rappresentanti delle forze politiche. Ciò che rimane del governo”.
Il ruolo del parlamento era già in crisi, visto il frequente ricorso ai decreti. La riduzione del numero dei parlamentari, di per sé, indebolisce ancora di più il ruolo del parlamento?
Ridurre il numero dei parlamentari serve a quasi nulla dal punto di vista funzionale, mentre soddisfa il bisogno di visibilità di forze politiche in crisi.
La vittoria del Sì può comportare una ripresa del Movimento 5 Stelle o rischia solo di essere il loro testamento politico?
Il M5s ha iniziato con grandi promesse, assicurando palingenesi, si è arenato nella gestione giorno per giorno, dimostrando di non saper neppure tradurre in pratica alcuni ideali partecipativi di cui si faceva portatore. Il suo declino è la prova della sua inanità.
Nessun partito importante vuole esporsi a favore del No al taglio dei parlamentari, vista la sua impopolarità. Lei pensa che la narrazione anticasta si sgonfierà o sopravvivrà al Movimento 5 Stelle?
Non so chi creda che una riduzione del numero dei parlamentari possa significare qualcosa di serio. Quanto alla narrazione anticasta, condivisa da tanti, essa è parte del lato negativo di una dialettica popolo-rappresentanti che è stata sempre presente nella storia di molti Paesi moderni.
Come mai il parlamento non funziona? Serve una modifica dei regolamenti o il problema è la legge elettorale? Oppure, semplicemente, è dovuto alla selezione interna ai partiti e alla scarsa qualità degli eletti?
La qualità degli eletti fa certamente parte delle cause: basta vedere il calo del numero dei laureati e del numero delle persone con precedenti esperienze politico-amministrative tra i parlamentari. Ma vi sono anche cause più profonde, una delle quali è lo spostamento sostanziale del potere legislativo nel governo, o in quel che rimane del governo, vale a dire la conferenza dei rappresentanti delle forze politiche.
Lei ha detto al Dubbio che il taglio dei parlamentari è un provvedimento singolo, il cui valore cambia a seconda degli altri rimedi a cui è accompagnato. Il rischio però è che non sia accompagnato neanche da una nuova legge elettorale. Questo creerebbe asimmetrie gravi?
Le asimmetrie ci saranno, se non si accompagna con altri provvedimenti, ma l’inconveniente principale sarà quello di aver modificato la Costituzione, come nel 2001, senza un obiettivo politico, che in questo caso avrebbe potuto essere il monocameralismo.
Secondo alcuni costituzionalisti le commissioni sono composte da parlamentari che in larga parte seguono pedissequamente la linea del partito e quindi una riduzione dei membri non ne peggiora i lavori. Lei è d’accordo?
Questo è vero, ma la conseguenza maggiore, per quanto riguarda il rapporto tra parlamentare e partito di appartenenza è un altro: sarà più agevole per i segretari di partito non sentire quella che viene chiamata la voce dei territori (l’elettorato) nella formazione delle liste, con la conseguenza di accentuare l’aspetto oligarchico già proprio del nostro assetto politico, da quando sono scomparsi i partiti come organizzazioni sociali.
(Lucio Valentini)