Spigolature da Gran Pignolo (più avanti scoprirete il motivo delle maiuscole) a due mesi dalle elezioni made in Usa. Per rendersi conto, fra l’altro, che il cristianesimo ha influenzato direttamente quella che è considerata la più grande democrazia del mondo. E che ancora la influenza.
Iniziamo. Alzi la mano chi è convinto che il prossimo 3 novembre verrà eletto il presidente degli Stati Uniti d’America: probabilmente, la maggioranza. E chi pensa che, a quella data, i cittadini statunitensi saranno chiamati al voto: è possibile che si tratti ancora della maggioranza. Chi, ancora, crede che il prescelto sia tale perché scelto dalla maggior parte degli americani: volete scommettere che è sempre la maggioranza?
In tutti e tre i casi non è così e questo dipende dal fatto che per noi europei – italiani in particolare – democrazia significa voto diretto dei cittadini, da esercitare magari dopo Messa. Ma nel Paese a Stelle e Strisce funziona in un altro modo: intanto, quella del loro presidente è, infatti, una elezione di secondo grado. Il prossimo 3 novembre (e così iniziamo a rispondere correttamente alle pignolerie di cui sopra) verranno nominati Stato per Stato “solo” i grandi elettori, vale a dire i loro rappresentanti scelti – questi sì – dai cittadini, ovviamente maggiorenni (ma, va precisato, solo se hanno chiesto l’inserimento nelle liste elettorali e anche qui c’è una differenza sostanziale col sistema italiano, per il quale si ha diritto al voto in automatico, al raggiungimento dei 18 anni d’età). In realtà, l’elezione del presidente non avverrà quindi il 3 novembre, ma il 14 dicembre e ad opera, appunto, dei grandi elettori.
Sistemate in un solo colpo, quindi, le prime due pignolerie, veniamo alla terza. Non necessariamente l’inquilino della Casa Bianca viene scelto, seppure in maniera indiretta, dalla maggioranza del suo popolo. Questo per il semplice motivo che non importa il margine di vittoria del suffragio elettorale alle primarie: in ogni singolo Stato, basta un solo voto per far guadagnare ai Democratici o ai Repubblicani tutti i grandi elettori. E, come ovvio, gli Stati non hanno tutti lo stesso numero di abitanti, quindi di elettori.
Strano (sempre per noi italiani, s’intende) anche il fatto che non si voti di domenica. Questo, per la verità, accade anche altrove, ma nel caso americano la scelta ha una radice storica precisa. Novembre è, negli States come da noi, un mese tranquillo per l’agricoltura e ciò aveva la sua importanza in un Paese che, due secoli fa, era a maggioranza contadina; impossibile votare di domenica perché, lo dice il nome stesso, è il giorno dedicato al Signore e nemmeno di lunedì: in tempi di trasporti molto meno celeri di oggi, l’elettore doveva avere un tempo agevole per spostarsi dal luogo di lavoro a quello di residenza, che magari era molto distante. Quindi ecco il martedì, ma non il primo del mese perché avrebbe potuto e potrebbe essere il giorno di Tutti i Santi, quindi di precetto religioso. Perciò quello utile è il primo martedì dopo il primo lunedì. Che fatica, eh?
È venuto il momento di dirlo: non è fatica mia, ma del Gran Pignolo. Così Giuliano Ferrara ribattezzò nel 1996 Mauro della Porta Raffo per i suoi interventi su Il Foglio in cui faceva le pulci a questo o quell’articolo di illustri colleghi di qualsiasi testata giornalistica. E tale è rimasto, anche perché nel frattempo non ha fatto nulla per cambiare rotta. Nel dicembre scorso, per esempio, è uscito per le Edizioni Ares Usa 2020. Tracce storico-politiche e istituzionali che rappresenta la quintessenza della sua pignoleria in fatto di storia americana, la sua vera passione sulla quale potrebbe far saltare il banco in qualsiasi gioco a premi televisivo.
“Ho seguito per la prima volta le elezioni Usa nel 1956 – ricorda il noto giornalista e saggista, romano di nascita, varesino di adozione ormai da lungo tempo – e quel che subito mi affascinò fu il fatto che, alla fine di un lungo confronto democratico costantemente aperto agli elettori, due e solo due fossero i contendenti e che rappresentassero con molto chiarezza appunto due opposte convinzioni. Più ancora, che il presidente e il suo governo restassero in carica quattro anni filati senza possibilità alcuna di essere sostituiti come allegramente accadeva in Italia”. E che, nonostante le riforme, rischia di continuare ad accadere ancora.
Curiosità per curiosità: nella “bibbia del Gran Pignolo” è contenuto anche il nome del prossimo “president”? Raffo si limita ad una constatazione: dati alla mano, solo in due (Jimmy Carter nel 1980 e George Bush junior dodici anni dopo) hanno fallito il secondo mandato. Negli altri sei casi sono stati confermati e Raffo cita una dichiarazione di Trump di un anno e mezzo fa: “Nel 2020 vincerò più facilmente di quanto ho fatto nel 2016”. A parte questo, le statistiche sono fatte per essere smentite.