Deputato più, deputato meno…

Che i parlamentari siano 600 anziché 945 fa differenza? Per la Casaleggio e Associati sì: ne vuole il meno possibile. A mancare è uno spirito costituente vero

Ah già, la riduzione del numero dei parlamentari. Sotto l’urto della pandemia, con tutti i problemi che ha comportato e che comporterà, il referendum costituzionale è diventato l’ultimo dei pensieri degli italiani. Adesso torna fuori, perché il 20 e 21 settembre si vota, e sembra faccenda un po’ démodé, arnese di una storia vecchia, quando pensavamo di trovare soddisfazione nel regolare i conti con la casta, malefica origine dei nostri guai.

E adesso? Adesso dobbiamo pur essere di quelli che ripartono, tirando fuori, ognuno, energie e risorse. Che i parlamentari siano 600 anziché 945 fa davvero gran differenza? Disorienta anche la carambola di posizioni dei partiti, impegnati in un andirivieni tra il No e il Sì non in base a una visione di ampio respiro ma alla furberia del momento. Tranne i 5 Stelle, per i quali il taglio degli eletti è bandiera irrinunciabile. I motivi? Meno spesa e più efficienza (ma sappiamo che il risparmio è percentualmente irrilevante rispetto al volume della spesa pubblica e che la maggior efficienza non dipende affatto dal numero).

In realtà questa riforma è marchiata Casaleggio e Associati, per cui la tradizionale rappresentanza democratica (elettore-classe politica) va sostituita dalla democrazia diretta digitale (rete-capo). Essa fa fare un altro passo avanti al processo di depotenziamento della rappresentanza politica, iniziato con i referendum di Mario Segni che hanno abolito il voto di preferenza, proseguito con la stagione di Tangentopoli e con la rinuncia all’immunità parlamentare, sino alla fase recente del vaffa.

Inoltre allunga la sequenza di interventi disorganici e incoerenti sugli assetti istituzionali, che devono essere un’architettura e non un patchwork. Qualche esempio. La riforma del Titolo V  della Costituzione, fatta in fretta e furia nel 2001 in chiusura di legislatura, è stata un taglia e cuci tra istanze federaliste e prerogative statalistiche, con sovrapposizioni e conflitti. Ancora, le leggi elettorali successive al dignitoso Mattarellum sono state una più brutta e furbesca dell’altra, e oltretutto dando sempre più potere alle segreterie dei partiti e ignorando le espressioni dei territori. Funzionano le leggi elettorali regionali: ci sono le preferenze e c’è l’elezione diretta del presidente; hanno sempre garantito maggioranze stabili. Dovevano essere un test per una analoga scelta a livello nazionale: ciao. Tutti d’accordo che il Senato dovrebbe avere compiti diversi dalla Camera dei deputati, per esempio essere una Camera delle autonomie. Invece siamo qui a tagliare senatori e deputati lasciando intatto l’incongruo e inutile doppione.

L’architettura istituzionale è una cosa seria. Certo che può essere riformata, ma solo secondo un disegno complessivo coerente, e il più possibile condiviso. Se no è meglio lasciare le cose come stanno.

Quello che primariamente occorrerebbe è ritrovare uno spirito costituente, cioè una tensione al bene comune prevalente, negli assetti e nelle decisioni fondamentali, sugli interessi di parte. Nella classe politica, come pure dal basso.

È possibile. Nella classe politica: per esempio il Meeting di Rimini ha mostrato – con le presenze significative di tutte le forze politiche e dei governatori di Regione – che un confronto costruttivo, un dialogo per il bene comune è possibile. Bisogna insistere. Una grande spinta al riscatto della buona politica può venire dalle autonomie locali e dalla società civile. Le buone prove di governo di tanti sindaci e governatori, il cui rapporto con il territorio, la società civile, i cittadini è più diretto. Le preziose disponibilità di tanti amministratori e consiglieri di piccoli e meno piccoli comuni, che lo fanno per servizio più che per ambizione, come hanno anche dimostrato in questi mesi dell’emergenza. E poi imprese e opere sociali, dove il valore del mettersi insieme per costruire si è mostrato vivo. E infine, attesi ora a una grande, decisiva prova, il milione di insegnanti dalla cui responsabilità e passione educativa, speriamo in alleanza con le famiglie e gli enti locali, dipende la mossa decisiva per la ripartenza.

Riconnettere la politica a questi mondi vitali in una logica sussidiaria, ecco la grande impresa che si costruisce anche nel piccolo e dal basso. Deputato più, deputato meno.

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