“Le famiglie dei miei amici a Beirut si sono molto commosse, perché dalla tremenda esplosione del 4 agosto 2020 nessuno era stato a visitarle, a vedere come stanno, quali danni hanno subito, di quali aiuti hanno bisogno. E da quando sono arrivati gli operatori dell’Avsi hanno qualcuno a cui raccontare la tremenda esperienza vissuta e ciò di cui oggi necessitano”.
È Joyce Bou Fadel, libanese, sposata in Italia, a raccontare ciò che è accaduto da quando ha scritto una semplice e-mail a Giampaolo Silvestri, segretario generale dell’Avsi, che nemmeno conosceva, ma che un amico le aveva consigliato di contattare. E a distanza di 4 giorni da quella e-mail, sabato e domenica compresi, da Beirut erano arrivati i messaggi di ringraziamento da parte dei tanti amici di Joyce, che esprimevano la loro commozione per l’attenzione degli operatori Avsi, tra i quali diversi italiani.
“Ora – riprende Joyce – non so cosa potrà fare l’Avsi per loro, ma ha già avuto un grande impatto in queste famiglie di amici il fatto che qualcuno è andato a trovarli, li ha guardati negli occhi, ha ascoltato le loro preoccupazioni. Ora non si sentono soli e abbandonati”.
Ma tocca a Marina Molino Lova, responsabile dell’Avsi in Libano, nativa di Biella, che da 12 anni vive a Beirut, sposata con un agronomo libanese e madre di due figli, raccontare le attività intraprese dagli operatori dell’Organizzazione non governativa italiana la sera stessa del 4 agosto scorso.
“Le strutture operative della nostra Ong – sottolinea Molino Lova – non hanno avuto grossi danni, ma gli appartamenti di 5 operatori italiani dell’Avsi sono stati seriamente danneggiati. Perciò la sera stessa dell’esplosione abbiamo cominciato a girare per la città, per verificare i danni subiti dai quartieri poveri, dove abitano i nostri colleghi. Già nel corso della prima notte abbiamo capito la situazione, che era necessario portare via le macerie, ripulire le strade, i palazzi e, in particolare, che le famiglie povere non hanno alternative abitative alle proprie case, che è necessario rimetterle in condizioni di sicurezza, sostituendo le finestre e gli infissi esplosi, le porte divelte, in modo che le persone possano continuare a viverci. E ci siamo subito resi conto che chi ha le disponibilità economiche, ha provveduto sin dal primo giorno successivo all’esplosione ad incaricare gli artigiani e le ditte edili a svolgere i lavori d’immediata messa in sicurezza. Perciò, le famiglie povere sono state prontamente riconosciute, anche per il fatto che nel giro di 2 giorni dall’esplosione non avevano attivato gli interventi essenziali per consentire di vivere nelle loro case. E già dal 5 agosto abbiamo distaccato a favore dei quartieri poveri di Beirut 20 dei 150 operatori dell’Avsi in Libano, di cui 10 sono italiani, mentre i restanti sono tutti libanesi. Quei 20 operatori li abbiamo organizzati in due tipologie di équipes, una prima costituita da psicologi e assistenti sociali, che girano per le famiglie povere ascoltando i drammi che hanno vissuto, i traumi che hanno subito, dando spazio ai loro racconti e supportandoli nell’elaborazione della nuova situazione in cui si trovano a vivere, ma anche per conoscere le loro necessità alimentari e di condizioni minime d’igiene. La seconda tipologia di équipe è costituita, invece, da ingegneri e tecnici, che effettuano i rilievi necessari a definire con precisione gli interventi di messa in sicurezza da realizzare, prendendo e rappresentando graficamente, con strumenti idonei, le misure degli infissi, delle finestre e delle porte da sostituire. In tal modo, in accordo con la direzione Avsi di Milano, ci è stato subito possibile lanciare la campagna “Emergenza Libano, #LoveBeirut, Stai con noi, ricostruiamo le case delle famiglie di Beirut”, per garantire la sostituzione delle porte e delle finestre nelle case di chi non ha i soldi per comperarsele. Si tratta di una spesa di circa 2.000-2.500 dollari per abitazione. Con gli stanziamenti assicurati dall’Avsi e con le prime donazioni pervenute abbiamo già assegnato le forniture e i lavori a piccoli artigiani e ditte locali a favore delle prime 100 famiglie e 30 piccoli negozi e attività commerciali. Ora stiamo proponendo le stesse tipologie di attività anche alle Agenzie internazionali, sia in Europa che in sede Onu, per ottenere gli stanziamenti necessari a far fronte alle richieste di migliaia di famiglie; si pensi che le abitazioni seriamente danneggiate a Beirut sono ben 44mila, mentre 300mila sono le persone che hanno subito danni di qualche tipo. Dobbiamo, tra l’altro, ricordare che sono state compromesse 159 scuole, equamente ripartite tra istituzioni pubbliche e private, e che ben 85mila sono gli studenti ora senza scuola. Del resto, da 4 grandi ospedali, oggi inagibili, sono stati evacuati gli ammalati rimasti in vita, perché molti sono deceduti anche per la mancanza dell’energia elettrica per far funzionare le attrezzature diagnostiche e di cura. E gli ospedali da campo arrivati dall’Italia e da diversi altri Paesi – conclude Marina Molino Lova – dovrebbero assicurare le cure per almeno un anno, il tempo necessario per rimettere in funzione quegli ospedali oggi inutilizzabili”.
Gli altri 130 operatori dell’Avsi in Libano sono impegnati in decine di progetti in svariati ambiti di sviluppo (agricoltura, educazione, sostegno psicosociale, protezione dell’infanzia), attivati dal 1996 in poi, in partnership con l’Ong Le Libanaise. Dal 2011 Avsi interviene anche nell’assistenza dei profughi siriani, che hanno trovato rifugio oltre frontiera, con progetti che si occupano di accoglierli e garantire loro condizioni buone di vita, di dare lavoro ai capofamiglia, di proteggere donne e bambini, di garantire l’educazione ai più poveri.
L’ultimo progetto, avviato la scorsa primavera, riguarda la realizzazione di campagne di sensibilizzazione e formazione nell’emergenza coronavirus, che ha visto la proclamazione di un primo lockdown dal 10 marzo a fine giugno 2020 ed ora, dal 19 agosto, un secondo periodo di blocco delle attività che dovrebbe durare sino al prossimo 7 settembre.