Bambini e ragazzi possono risultare positivi per mesi al coronavirus, anche se sono del tutto asintomatici. Questa condizione potrebbe protrarsi per due mesi, anche tre in alcuni casi. Se il fatto che siano asintomatici non rappresenta una novità, il dato nuovo riguarda il fatto che la carica virale nel loro caso può subire oscillazioni consistenti, e questo è un aspetto tutt’altro che trascurabile. In caso di carica virale bassa, sono meno contagiosi, quindi ci si interroga sul fatto che vengano posti inutilmente in isolamento. Ma dai due studi italiani pubblicati sul Journal of Infection emerge che la carica virale può subire oscillazioni consistenti, quindi salire tra un tampone e l’altro e dare esito nuovamente positivo anche in quei pazienti che si erano negativizzati in precedenza. Una cosa è sicura: è l’ennesima conferma dell’importanza di non doversi limitare all’individuazione di Sars-CoV-2 nell’organismo, ma di determinare anche le cariche virali nei pazienti positivi, un dibattito già aperto ad esempio negli Stati Uniti.
CORONAVIRUS, BAMBINI POSITIVI PIÙ A LUNGO E…
Questo lavoro, che riguarda 30 casi di bambini e ragazzi positivi al coronavirus, chiarisce alcuni aspetti del comportamento dell’infezione nei più piccoli. Trattasi quindi di informazioni importanti in vista della riapertura delle scuole. Le due ricerche, firmate da Enzo Grossi e Vittorio Terruzzi di Villa Santa Maria, Centro multiservizi di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza di Tavernerio (Como), sono state realizzate in collaborazione col Centro diagnostico italiano (Cdi) di Milano. I ricercatori indagano sulla dinamica della carica virale lungo l’arco di diverse settimane e scoprono che chi ha i sintomi ha mediamente una carica virale più alta rispetto a chi non ne ha ed elimina il coronavirus in un tempo superiore. Inoltre, la carica virale era decisamente più alta nei maschi (25) rispetto alle femmine (5). Prima di ridursi fino alla negatività, i livelli di carica virale possono oscillare e questo intervallo può superare anche due mesi. C’è il caso di un bambino di 9 anni affetto da autismo che è rimasto positivo per quasi 3 mesi a causa della sua carica virale estremamente alta.
CORONAVIRUS, L’IMPORTANZA DELLA CARICA VIRALE
Si pone quindi la questione del Pcr (Polymerase Chain Reaction) su cui si basa l’esame del tampone. Per rilevare la carica l’Rna di Sars-CoV-2 viene prima trascritto a Dna e poi amplificato in una serie di cicli. Più è alto il ciclo-soglia “Cycle Threshold”, meno Rna virale è presente in chi è stato sottoposto a tampone. Quindi, essere positivi non vuol dire essere ancora infettivi e contagiosi. Di conseguenza, un soggetto positivo rischia di restare in isolamento per settimane inutilmente. D’altra parte, ci sono asintomatici che per lungo tempo possono rappresentare una fonte di contagio. Come uscire da questo impasse? I ricercatori suggeriscono un monitoraggio con test ripetuti a intervalli regolari dei valori di carica virale per stabilire la durata dell’infettività. Quindi, suggeriscono che i laboratori definiscano anche la carica virale.