Quando l’incubo Covid-19 sarà definitivamente archiviato “l’uomo sarà sempre lo stesso“. Parola di Alberto Abruzzese, sociologo che ha dedicato la sua vita allo studio dei processi culturali e della comunicazione, intervistato da Huffington Post: “L’uomo sarà sempre lo stesso. In questa necessità di sopravvivenza che le grandi catastrofi producono, è difficile che l’essere umano, singolo e in gruppo, affronti il trauma rompendo davvero con la sua identità precedente. Semmai queste situazioni rafforzano quell’identità. Non sono un mutamento, ma una conferma. Non rompono una tradizione, ma la riaffermano“. Smentita dunque una tesi più diffuse nei primi giorni del lockdown, quella del “ne usciremo migliori”. Abruzzese spiega: “Io parto dall’idea che se noi avessimo mai l’opportunità di essere migliori, la civilizzazione moderna non avrebbe le caratteristiche e l’esito che ha avuto nella storia dei secoli. Sostanzialmente non c’è un modo di essere migliori: c’è una variazione della natura violenta della civiltà umana. La nostra memoria è capace di rigenerarsi. Noi abbiamo alle spalle grandi pandemie, ma sono state dimenticate. Quelle del passato probabilmente non sono avvenute in momenti di così straordinaria capacità informativa come il nostro presente. In qualche modo erano episodi preoccupanti, ma non finivano per fratturare completamente l’universo informativo. Ora soltanto di Covid si parla. Che è anche giusto, ma…i media hanno drammaticizzato gli eventi. Sarebbe importante che si riflettesse anche su questo. Favorire la consapevolezza e il senso di responsabilità, anziché la paura“.
IL SOCIOLOGO ALBERTO ABRUZZESE: “IL COVID NON CAMBIERA’ L’UOMO”
Secondo il sociologo, dunque, il mondo post-coronavirus assomiglierà moltissimo a quello pre-pandemia: “Se avremo cicatrici invisibili nel rapporto con l’altro? Sicuramente, ma è altrettanto certo che riassorbiremo il trauma. Alle spalle abbiamo l’esperienza di grandi reazioni umane che riguardano catastrofi, guerre, carestie. Sappiamo bene come nella storia i grandi traumi si riassorbano. Il problema, secondo me, è come far fruttare nella fase attuale una catastrofe. (…) Una catastrofe poteva essere utilizzata per ripensare il mondo e intervenire in maniera diversa. Più che un meccanismo di rinascita ha prevalso invece quello dell’autoconservazione, autoprotezione di quelle che sono le pratiche e i sistemi della tradizione“. Abruzzese sottolinea peraltro un dato spesso sottovalutato nel racconto generale: “È vero che le catastrofi scatenano traumi e psicosi, ma è vero anche che a vincere poi è il desiderio delle persone di superarli. È bastato allentare la morsa affinché le persone sentissero il bisogno di tornare al prima. Ma ogni tanto a me pare che in un momento di consapevolezza estrema bisognerebbe piuttosto domandarsi come sia possibile che siamo riusciti ad accettare tutte le limitazioni, interiorizzandole nelle nostre vite come fossero ordinarie. (…) Secondo lockdown? A giudicare da come sono andati questi mesi mi sembra ci sia stata una sorprendente capacità di tollerare la sorte. Ma il ritorno a una situazione drammatica metterebbe più a dura prova la nostra capacità di sopportazione“.