Willy Monteiro Duarte era uno straniero. Willy era un italiano. Willy era un ragazzo, con tanti amici, con i sogni della sua età, 21 anni, e tanta fatica sulle spalle per realizzarli. Willy giocava a calcio, leggeva, studiava all’alberghiero e di certo ammirava gli chef che vedeva in tv immaginando, chissà, di diventare un giorno come loro, o di lavorare con un cuoco stellato.
Viveva in una paesino della Ciociaria, di quelli che a Roma, scherzosamente rappresentano la campagna: “Sei mica de Collefero…?” Con una r sola, dicevano i ”cittadini”, altezzosi. Oggi da Colleferro, e dalla vicina Palliano, arrivano due tipologie opposte di giovani. Willy, radioso, buono, generoso, lavoratore, capace perfino di mettersi in mezzo a una lite per pacificarla. E gli odiatori criminali che l’hanno ucciso, vorremmo dire come un cane, anche se dei cani si ha di solito maggior pietà. Nerborute bestie cresciute a droghe e violenza, arroganti picchiatori seriali, che per qualche assurdo motivo legato alla malagiustizia non erano abbastanza attenzionati e impediti di nuocere alla gente perbene, nonostante le segnalazioni di chi in un paesino ciociaro cercava di vivere in tranquillità e mal sopportava le spacconate e le ronde.
Willy è morto in un modo così assurdo che ci fa dubitare della speranza. Perché non possiamo rassegnarci alla banalità del male: il male va compreso, e fermato, prima che si scateni con la sua follia. Ho sfiorato la comunità capoverdiana grazie alla presenza discreta e affettuosa di alcune signore che erano solite cantare animando la santa messa della mia parrocchia. Voci squillanti, tamburelli, sorrisi: si affrettavano sempre dopo la liturgia a tornare ai loro lavori, umili e preziosi. Ho saputo oggi (ieri, ndr) che Willy era nipote di una di queste donne, così audaci, che hanno lasciato una terra lontana e grazie al loro impegno e a famiglie accoglienti hanno trovato qui nuove case e nuovi parenti, ricreando appunto una comunità. Fa anche più male, se possibile, sapere il dolore di chi hai conosciuto, di chi sai limpido e buono.
Il nostro tempo è povero e malato del nulla che divora le vite, e spinge a depredare la felicità altrui. Il nostro tempo è lacerato e schizofrenico perché i giovani non hanno più donne e madri e sorelle come le coriste della mia parrocchia, capaci di testimoniare con la vita e la fede uno sguardo bello all’umano, di ringraziare, di lavorare sodo in questo nostro mondo per renderlo migliore. Il Vangelo domenicale questa settimana era netto: a costo di essere antipatici, a costo di mancare di rispetto (è rispetto alzare le spalle pensando “mi faccio i fatti miei”?) ci sarà chiesto conto di quando potevamo dire la verità, essere sentinelle e invece abbiamo voltato la testa dall’altra parte. Willy non l’ha fatto e il buon Dio gliene renderà merito. Non avverrà lo stesso per noi, se penseremo che la sua morte non ci riguarda, che tante ne capitano, che è più furbo pensare solo e sempre a se stessi.