Ieri i mercati, a partire da quelli americani, hanno dato qualche segnale di debolezza sulla scia di un calo iniziato settimana scorsa. I “colpevoli” di giornata sono il petrolio, ieri sceso di quasi il 10%, e il settore tecnologico americano che negli ultimi mesi ha sostenuto un rimbalzo che ha portato gli indici a superare i massimi pre-Covid.
Da diverse settimane si leggono commenti preoccupati sui livelli raggiunti dai listini; non c’è praticamente giorno in cui una banca d’affari o qualche investitore particolarmente stimato non esprima preoccupazione sui livelli “artificialmente” alti del mercato azionario. Le analisi vengono raccolte e pubblicate puntualmente dalle maggiori testate economiche fino ai blog di finanza più noti. È un esercizio che continua da settimane con l’unica costante dell’indicazione dei “responsabili”: le banche centrali con i loro programmi di sostegno ai mercati e con le politiche monetarie espansive.
La questione vera, come sempre, e quando e cosa possa dare il pretesto ai mercati per rompere un trend di rialzo che è durato sostanzialmente ininterrotto per quasi sei mesi, da metà marzo, e che sembra essersi arrestato all’inizio di settembre. Prendiamo spunto da quello che si leggeva sui principali blog di finanza negli ultimi giorni.
Un primo “filone” è quello che registra l’andamento economico e presenta i dati che smentiscono la tesi di una ripresa rapida e forte dell’economia dopo la fine del lockdown. La tesi è più o meno questa: il mercato, prima o poi, dovrà arrendersi all’evidenza dell’economia reale e portarsi su valutazioni più ragionevoli. Più tarda la ripresa, più diventa difficile sostenere le quotazioni.
Un secondo tema è quello sulla progressione della pandemia. I “lockdown” sono oggi molto meno duri di quanto non lo fossero sei mesi fa e molti Paesi, la Germania per esempio, non si sono mai avvicinati alla durezza di quello italiano. Il mercato può aver assunto che il peggio della pandemia sia passato come si potrebbe concludere, per esempio, osservando che il numero di letti di terapia intensiva occupati in Italia è ancora una percentuale molto piccola del picco. In Lombardia, per prendere un esempio “italiano”, il dato è ancora del tutto simile a un -99% dal picco. In questa ottica si è obbligati a leggere con preoccupazione qualsiasi aumento minimamente serio dei numeri che “contano”: morti e terapie intensive occupate. Ieri i maggiori siti di informazione finanziaria e i blog più “reputati” segnalavano alcuni dati preoccupanti in Europa. Niente di lontanamente simile a quello che si è visto ad aprile, ma pur sempre da monitorare; soprattutto visto dove è il mercato.
Poi c’è una terza questione che è sempre utile avere in mente: le elezioni presidenziali americane di novembre. Un cambio di presidenza sarebbe, comunque, un evento traumatico per i mercati che dovrebbero prendere le misure al nuovo inquilino della Casa Bianca e alla sua nuova politica economica ed estera. Come minimo ci sarebbe un periodo di incertezza la cui conseguenza per i mercati è sempre e solo una: vendere. Le dichiarazioni del Presidente americano di lunedì sulla fame di guerra dei vertici militari americani forse sono puro populismo elettorale e disperato o forse segnalano qualche crepa vera.
Questi sono alcune dei “pretesti” di cui si discute in questi giorni senza che, al momento, sia però successo nulla di eclatante rispetto allo scenario delle ultime settimane.