“And I sent it in my letter… to you”… “Tonight the Western Stars are shining bright”…
Un gruppo di uomini, più anziani che giovani si raduna in una casupola di legno in mezzo alla neve. Scendono sorridendo dalle loro macchine, si salutano, come camerati di una guerra antica che si ritrovano dopo decenni, sorpresi di ritrovarsi ancora vivi, anche se un po’ malconci. Hanno pagato un prezzo duro. Due di loro non ce l’hanno fatta, sono morti durante la strada che portava fino a qui. “La vita on the road è una maledetta vita impossibile” disse una volta Robbie Robertson, chitarrista di The Band.
Potrebbero anche essere un gruppo di gangster della mala che si ritrova per uno dei loro incontri, d’alta canto il rock’n’roll appartiene ai gangster, ai fuorilegge. Uno di loro ha anche fatto parte di un gruppo di mafiosi. Soprano, li chiamavano.
Sono vecchi, spelacchiati, i visi pieni di rughe, ma che altro possono fare se non prendere in mano le loro chitarre, le tastiere, la batteria e scrivere e cantare e suonare la stessa solita canzone? Quella è la loro vita, e alla fine la gioia per quello che sta venendo fuori invade i loro volti. Perché sanno che la loro gioia è la stessa di chi ascolterà quella canzone. Questo è il rock’n’roll: condivisione.
Uno di loro, il cantante, l’autore di quei versi è quello che ha il viso più malinconico e invecchiato di tutti. E’ il viandante, è lo sconfitto che aspetta la sua ragazza sul treno di Tucson. E’ l’attore che una volta fu colpito da John Wayne, è lo stunt-man, è il cantante country che non ce l’ha fatta, è il balordo che si attacca a un’altra bottiglia di Jack Daniels là nel parcheggio al buio. Cammina da solo su prati innevati ai bordi di un bosco tenebroso che sa potrà inghiottirlo in qualunque momento. E’ il deserto che abita in noi. E’ lì che ha bisogno di stare, al confine, ma soprattutto da solo. I ragazzi sono là dentro che ridono e scaldano gli strumenti, ma lui deve stare qui. A guardare fisso nel vuoto che solo un campo innevato sa rendere. Qui ritrova se stesso. Si deve allontanare dalla casupola dove sono i suoi amici perché deve farsi forza e raccogliere le ultime energie. E allora scrive una lettera, l’unica cosa che può fare, per rendere grazie, per mettere la sua vita nelle mani di lei, nelle mani di Lui, nelle mani di loro, quelli che da quasi cinquant’anni si fidano di lui e delle sue canzoni. Il dolore, la gioia, il pianto, la fatica, l’inchiostro e il sangue, esattamente come un tatuaggio. Una lettera scolpita sulla pelle scarnificata perché non si cancelli mai più.
Mi sono inginocchiato, ho afferrato la penna e ho chinato la testa
Ho cercato di evocare tutto ciò che il mio cuore trova vero
E inviarlo nella mia lettera a te
Cose che ho scoperto in tempi difficili e belli
Le ho scritte tutte con inchiostro e sangue
Scavato nel profondo della mia anima e firmato il mio nome vero
E te l’ho inviato nella mia lettera
(…)
Nella mia lettera a te
Ho preso tutte le mie paure e dubbi
Nella mia lettera a te
Tutte le cose difficili che ho scoperto
Nella mia lettera a te
Tutto quello che ho trovato vero
E te l’ho spedito nella mia lettera
Ho preso tutto il sole e la pioggia
Tutta la mia felicità e tutto il mio dolore
Le stelle oscure della sera e il cielo blu del mattino
E te l’ho mandato nella mia lettera
Tutto il mio io, tutta la mia presenza e la mia assenza, il mio male e il mio bene, tutto quello che ho trovato: nella mia lettera a te. Solo un uomo che si mette in ginocchio, piega il capo, è un uomo vero, che sa che la vita non dipende da lui, che la vita non appartiene a lui, che la vita è oltre lui. Poi torna indietro, e ritrova gli amici. E sono risate e sono pacche sulle spalle, e sono sguardi confidenti e sono una sensazione di fiducia, fino al bacio carico di tenerezza sul capo della moglie.
La musica scorre rigogliosa, con quelle chitarre in stile byrdsiano che riportano a secoli lontani, le note grasse di Hammond mai state così dylaniate, il rombo di chitarra solista che ricorda la sua e la loro giovinezza, a volti, voci, amici scomparsi, quelle rullate di batteria che si fermano e riprendono. Chitarre a strati, un organo vorticoso, riccioli di pianoforte che suona e una batteria che schianta. E la voce, quella voce. Piena di compassione e di tenerezza. Una voce battuta dalle intemperie che fluttua sopra tutto mentre elabora una angoscia esistenziale su un amore onnicomprensivo: “Ho scavato nel profondo della mia anima e ho firmato il mio nome vero e l’ho inviato nella mia lettera a te”.
Non è rock’n’roll, è oltre. E una volta che il rock’n’roll ti ha salvato la vita, non puoi far altro che affidarti a lui.