È ormai acclarato che vi sia un parallelismo, quanto ai riflessi economici, se non una concreta assonanza, tra gli effetti di una pandemia, che non può peraltro dirsi conclusa, e quelli del secondo dopoguerra in Europa.
Tra i corollari di tale scenario, ve n’è uno particolarmente preoccupante, emerso dalla relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia (Dia), di recente inviata al Parlamento, nella quale si rappresenta la concreta possibilità che le mafie, così come dopo un conflitto, approfittando della crisi di liquidità, estendano sensibilmente il proprio raggio d’azione. In primo luogo, accedendo alle risorse pubbliche con la schermatura di società di comodo, non versanti in reali condizioni di crisi. In secondo luogo, coerentemente a quella che è una peculiarità endemica dell’agire criminale, rilevando, a costi irrisori, aziende di medie e grandi dimensioni, a rischio default.
“Non è improbabile – avverte la Dia – che aziende di medie e grandi dimensioni possano essere indotte a sfruttare la generale situazione di difficoltà per estromettere altri antagonisti al momento meno competitivi, facendo leva su capitali mafiosi, senza sottovalutare il fatto che la semplificazione delle procedure di appalto potrebbe favorire l’infiltrazione delle mafie negli apparati amministrativi”.
In tal senso, non si è mancato di evidenziare, come, tra le varie possibili misure adottabili per fronteggiare tali foschi scenari, sarebbe auspicabile replicare “il modello già positivamente sperimentato per il Ponte Morandi di Genova, dove si è raggiunta una perfetta sintesi tra efficacia delle procedure di monitoraggio antimafia e celerità nell’esecuzione dei lavori”.
Dell’argomento si occupa il recentissimo volume Economia del crimine organizzato e politiche di contrasto, di cui è coautore – unitamente ai docenti Mauro Castiello e Michele Mosca – il professor Salvatore Villani, docente di Scienza delle finanze nell’Università Federico II di Napoli, che, già in precedenti pubblicazioni sull’argomento, ha utilizzato la metafora del virus per meglio descrivere le modalità operative di espansione delle mafie.
“Ho sempre considerato – spiega Villani – l’analogia con i virus più che calzante, perché consente di comprendere non soltanto i meccanismi di espansione e di penetrazione delle mafie, ma anche numerosi altri aspetti della loro natura e del loro modo di operare. Le risultanze dell’attività investigativa svolta nell’ambito di procedimenti giudiziari contro esponenti delle più importanti cosche mafiose hanno svelato la pervasiva presenza della criminalità organizzata nel mondo dell’economia, della politica e nelle amministrazioni pubbliche di tutti i livelli, fino ad ipotizzare collegamenti con i servizi segreti, con l’alta finanza, con il terrorismo internazionale e persino con alcuni circoli esclusivi del potere occulto nazionale ed internazionale, come la massoneria e pezzi deviati delle istituzioni. Ciò rende, a mio avviso, le organizzazioni criminali molto simili a quegli agenti patogeni che, attraverso una graduale mutazione adattiva, compiono il cosiddetto spillover, o “salto di specie”, che li rende più pericolosi per l’uomo e più difficili da debellare, soprattutto in determinate aree o regioni del mondo”.
Ben lontani dalle rappresentazioni di Mario Puzo e Francis Ford Coppola ne Il Padrino, le mafie si muovono oggi ormai nel quadro di un’economia globale?
Come delle vere e proprie imprese, oggi le consorterie mafiose adottano modelli organizzativi di natura reticolare, e quindi più flessibili rispetto a quelli gerarchici e più rigidi delle origini. Si internazionalizzano al fine di massimizzare i proventi delle loro attività e minimizzarne i costi, oltrepassando sempre più spesso i confini dei singoli Stati per ricercare sui mercati internazionali maggiori opportunità di guadagno e per diversificare i propri investimenti, rendendo il compito delle forze di polizia e delle agenzie di enforcement sempre più arduo.
Quali le possibili politiche di contrasto su scala globale?
Allo scopo di favorire la cooperazione internazionale è necessario, ovviamente, migliorare la fiducia reciproca tra gli Stati ed intraprendere un’azione politica diretta a favorire la ratifica delle Convenzioni pertinenti. Per uniformare quanto più possibile l’azione repressiva è necessario anche armonizzare il più possibile le disposizioni giuridiche o sforzarsi di renderle compatibili tra loro. Ma tutto ciò non è sufficiente. È di fondamentale importanza, a mio avviso, combattere le mafie con le loro stesse armi.
Vale a dire?
È risaputo che esistono un po’ ovunque delle zone di promiscuità tra le organizzazioni criminali e la società civile. È assurdo pensare di poterle eliminare da un giorno all’altro, con un colpo di bacchetta magica. È più realistico, invece, puntare alla disgregazione della suddetta rete di relazioni tra criminali, imprenditori, o semplici cittadini e politici utilizzando le stesse armi di cui si servono le mafie, vale a dire quello stesso capitale sociale e quelle stesse reti di relazioni che ne costituiscono il punto di forza. Queste ultime, infatti, non appartengono in modo esclusivo a nessuno dei soggetti che ne traggono beneficio, ma soltanto a chi è in grado di coglierne le enormi potenzialità ed è disposto ad investire nella sua produzione.
Per essere più concreti, una seria strategia di lotta alla criminalità organizzata in Italia come dovrebbe essere condotta?
Una seria strategia di lotta alla criminalità organizzata dovrebbe partire dalla prevenzione e dalla realizzazione di adeguate politiche di incentivo alla formazione di capitale sociale nelle aree che ne sono più povere.
(Vittorio Pisanti)