Un papà cerca ogni giorno da due settimane la figlia quindicenne scomparsa nelle acque dell’Adda il 1º settembre. Si chiamava Hafsa e il padre, un marocchino che si trovava nella sua patria il giorno della scomparsa della figlia, da quando è tornato non smette di cercarla quotidianamente nonostante i pericoli. La scena, straziante, ripresa su Facebook, di lui che ogni giorno va in bicicletta al fiume e cerca la figlia, ha commosso e commuove il cuore di mezza Italia.
Le dichiarazioni del padre sono benevole verso i ricercatori, però nascono le domande su come sia possibile non trovare il corpo di una ragazza dopo così tanto tempo. È ancora troppo fresco il ricordo di quest’estate di Viviana Parisi e del piccolo Gioele, e di come il ritrovamento avvenne in maniera tragica e al di fuori degli sforzi istituzionali. Davvero abbiamo un sistema di ricerca aggiornato ed efficiente? Possiamo essere tranquilli che il corpo dei nostri cari, in caso di tragedia, venga ritrovato?
E questa è la seconda considerazione: per l’uomo, il corpo dei propri cari, anche quando è cadavere, è importante. Il cadavere aiuta ad elaborare il lutto. Non si può lasciar andare il proprio caro nell’aldilà se non abbiamo con noi il pegno del suo cadavere. Che in primo luogo ci dice che quella persona è proprio morta. Sappiamo anche solo dai romanzi di Grisham che non si può condannare nessuno per omicidio se non c’è il rinvenimento del cadavere. E questo vale anche per noi, per la nostra interiorità. Non possiamo dirci che davvero non c’è più nulla da fare se il corpo non è lì a dircelo.
Il corpo è importante per vivere ma è anche importante per morire. Come si può non avere una minima speranza che la nostra figlia sia ancora viva, se non si ha la certezza della fine definitiva? E poi, quando il corpo è lì a dirci che la morte è arrivata, possiamo agire tutte le ritualità cultuali proprie di ogni religione, che sono fondamentali per aiutarci nell’accompagnare verso l’eternità chi ci ha preceduto.
La forza infine di questo gesto cocciuto e disperato del padre ci dice quanto per un papà la ricerca della figlia perduta sia il senso della vita. Nonostante le forze dell’ordine cerchino di dissuaderlo vista la pericolosità della cosa, il padre di Hasfa continua. È proprio vero che ciò a cui dedichiamo tempo è ciò che regna nel nostro cuore.
Per un genitore il figlio è tutta l’identità. Non c’è nulla di naturale nel sopravvivere ai propri figli. Se perdi un marito o una moglie c’è la parola vedovanza, e così per la perdita di un genitore c’è la parola orfananza. Ma per la perdita di un figlio non c’è parola. Non c’è parola perché non c’è rassegnazione. Ci sono solo giri di parole, ellissi, che ci permettono solamente di trascinarci rassegnati e sporchi. Come uccelli che hanno le ali spezzate.