La biografia e le esperienze di Tommaso Gambini (Torino 1992) all’esordio con THE MACHINE STOPS lascia presagire un percorso artistico di sicuro interesse. Dopo aver studiato alla Scuola Civica e al Conservatorio ha frequentato la prestigiosa Berklee College of Music a Boston studiando con musicisti del calibro di Hal Crook, George Garzone e Mick Goodrick autentica eminenza grigia della chitarra jazz moderna.
Gambini, nel suo cd di esordio pubblicato per la Workin label con il sostegno di Ora!X, sceglie una formazione totalmente americana e quindi strettamente collegata a quel mondo che gli ha permesso di mettere nel suo curriculum collaborazioni prestigiose come quelle con Danilo Perez e Joe Lovano. Suonano con lui in THE MACHINE STOPS: Manuel Schmiedel, tastiere e synth, Ben Tiberio bass, Adam Arruda batteria e percussioni , Ben Van Gelder e Dayna Stephens ai sassofoni, Jacopo Albini clarinetto e clarinetto basso, Anggie Obin flauto, Casey Berman programmazione e Vanisha Gould spoken words.
Sette i brani presentati: The Old Machine, Kuno, Vashti, Second Hand Ideas, The New Machine, Anonymous, Tomorrow tutti a firma dell’autore. Nell’iniziale The Old Machine appare evidente l’interesse per la musica contemporanea e minimale. Toccante la ballad Kuno che sembra uscire da una delle tante e belle pagine che il jazz americano contemporaneo ci ha regalato. Particolari le sonorità delle chitarre di Gambini che oltre alla sei corde elettrica si cimenta anche ai synth. Dalla intrigante Vahti alla più canonica Sand Hand Ideas, mostra di trovarsi a suo agio anche con un jazz più tradizionale, come nel brano che dà il titolo all’album. Bella attenzione alle sonorità e alle orchestrazioni, soprattutto quando si cimenta in percorsi meno ovvi. Un artista giovane e interessante al quale raccomandiamo, per crescere, di starsene ben lontano dal jazz italiano.