Il voto di domenica e lunedì sembra aver cambiato gli equilibri di forza all’interno della maggioranza di Governo, che dovrà presto presentare la Legge di bilancio. A tal proposito, con una lettera inviata a tutti i Paesi membri, Valdis Dombrovskis e Paolo Gentiloni hanno non solo evidenziato che il Patto di stabilità e crescita resterà sospeso anche nel 2021, ma anche spiegato che le manovre dovrebbero “nella misura più larga possibile tenere conto dell’attuazione delle riforme e degli investimenti prospettati nella Recovery and Resilience Facility” e che la valutazione delle stesse da parte della Commissione sarà concentrata sulla qualità delle misure adottate. Dopo l’appuntamento elettorale l’esecutivo saprà ripartire nella direzione giusta per far ripartire l’economia del Paese? «Spero che il Governo tragga dal voto un motivo in più per accelerare nella direzione del rilancio e della modernizzazione del Paese. La vera sfida è questa, anche in connessione con il Recovery plan», ci dice Marco Fortis, Direttore della Fondazione Edison e docente di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano, secondo cui «ora l’esecutivo ha un’opportunità mai vista».
Cosa intende dire Professore?
Quello che poteva essere un voto in grado di dare una spallata al Governo si è rivelato invece un motivo in più di stabilità e questo deve incoraggiare il Governo a intraprendere un percorso al termine del quale sarà giudicato molto severamente. Ci sono esecutivi che hanno goduto di cicli economici favorevoli, ma nessuno ha avuto mai l’opportunità di spendere denari e di fare delle riforme come ora. Il Governo ha quindi una responsabilità storica enorme. Mi auguro che le stesse forze della maggioranza se ne rendano conto.
Diventa cruciale non sprecare queste risorse.
Non solo, occorre anche indirizzarle verso la più grande sfida che abbiamo davanti: la modernizzazione della Pubblica amministrazione. I provvedimenti tampone e tutte le iniziative di tipo congiunturale che si potevano mettere in campo per sostenere l’economia nella fase più critica sono state avviate, pur con alcune lentezze e farraginosità. Ora si tratta di rilanciare e ammodernare il Paese.
In che modo concretamente?
Occorre investire, oltre che nelle grandi opere necessarie per modernizzazione le reti, nella scuola, nella formazione, anche nell’ammodernamento della Pa con un potenziamento della tecnostruttura, della digitalizzazione. Un’impresa che volesse realizzare un grande investimento dovrebbe potersi interfacciare con dei ministeri tra loro collegati e che non devono passarsi delle scartoffie per le autorizzazioni necessarie. Lo Stato deve in sostanza iniziare a funzionare come le aziende. Non basta però la determinazione dei vertici, occorre che funzioni la “fabbrica”, cioè i ministeri, i funzionari, le strutture che devono gestire la macchina pubblica, portare avanti l’esecuzione dei provvedimenti. Il Governo deve intraprendere questa sfida, tanto più che gode di un importante vantaggio.
Quale?
Un’Europa amica, positiva nel valutare le azioni di intervento di politica economica avendo abbandonato l’ideologia dell’austerity e fatto propria una visione impostata sui grandi interventi per il digitale e la green economy. Si tratta di un cambiamento importante, reso possibile anche dalla presa di coscienza da parte della Germania di non poter essere quasi autonoma dall’Europa, orientata solamente a esportare in Cina e Usa. Questa visione si sta scontrando con le rigidità del commercio internazionale e si assiste a un rafforzamento delle posizioni europeiste all’interno della politica tedesca.
Il Governo avrà subito un primo esame importante con la Legge di bilancio. L’Ue guarderà alla qualità degli interventi, ma per ora sappiamo solo che c’è l’intenzione di intervenire sulle tasse…
Un intervento che mi entusiasma fino a un certo punto. Tutte le misure che possono razionalizzare e rendere più efficiente il nostro sistema fiscale sono benvenute, ma la vera sfida è quella della modernizzazione della Pa. Significherebbe anche creare una domanda veramente importante di beni, di tecnologie, di professionalità, che avrebbe una ricaduta positiva sulla nostra economia. Occorre rendersi conto che l’industria, il turismo, l’agricoltura hanno già dato negli ultimi anni un importante contributo alla crescita del Pil, mentre invece è sempre mancato l’apporto della parte restante dell’economia, in gran parte collegata al settore pubblico e a tutto ciò che ruota attorno a esso.
Si parla anche di togliere agevolazioni fiscali o introdurre imposte specifiche per le attività industriali più inquinanti. C’è il rischio di penalizzare settori importanti della nostra economia?
Il problema è che davanti a cambiamenti importanti l’impostazione classica della burocrazia è star ferma e scaricare gli sforzi sul settore privato. È un approccio sbagliato. I nostri settori industriali hanno saputo adottare ammodernamenti importanti e non si sono mai tirati indietro di fronte a svolte ambientali, come quando si è dovuto abbandonare il CFC dannoso per l’ozono. Bisogna però evitare autogol. Ricordiamo che l’Europa in passato ha penalizzato le proprie imprese virtuose permettendo l’ingresso di merci di Paesi concorrenti prodotti senza gli stessi canoni di rispetto ambientale. Tradizionalmente la resistenza della Pa al cambiamento fa sì che l’innovazione venga sempre concepita, anche in campo ambientale, come un intervento coercitivo sul settore privato, mentre dovrebbe esserci la sensibilità di agire con gradualità ed evitare danni assurdi a settori importanti per l’economia.
Visto che si esclude un rimpasto, tutti questi interventi importanti, dalla sfida per l’ammodernamento della Pa allo sblocco di investimenti infrastrutturali, di cui ha parlato sono possibili con la stessa squadra di Governo vista all’opera finora?
L’aumento della stabilità arrivato grazie al voto dovrebbe essere uno stimolo per chi governa a essere più sereno e consapevole anche della durata del proprio mandato. Nei ministeri chiave ci sono persone che stanno mostrando una certa capacità di governo e che sono apprezzate dal mondo economico. Occorre però che da parte di tutto l’esecutivo vi sia la presa di coscienza della responsabilità enorme che si ha davanti con la possibilità di usare 209 miliardi di euro, senza clausole di salvaguardia e zero virgola del deficit da controllare. I politici che ci governano devono avere il coraggio di uscire dalla logica dei ricatti e degli equilibri di partito e fare veramente le riforme che l’Europa ci chiede e che chiedono anche i cittadini, che vedono la possibilità di fare debito buono, come ha detto Draghi.
Come si può raggiungere questo obiettivo?
L’unico modo è intervenire con lo stesso criterio efficientista che ha animato la filosofia di Industria 4.0, che è stata la modernizzazione della fabbrica della nostra industria. Oggi occorre modernizzare la fabbrica dello Stato, ci vuole uno Stato 4.0. Dunque le risorse che ci sono state assegnate devono essere canalizzate verso tale obiettivo. Se non lo si capisce, si sprecherà l’occasione del secolo.
(Lorenzo Torrisi)