Superati gli scogli delle elezioni regionali e del referendum sul taglio dei parlamentari senza troppe ammaccature per nessuna delle parti in causa – tanto che tutti gli attori hanno potuto esibire i motivi delle rispettive soddisfazioni -, si avvicinano le sabbie mobili della Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, della Legge di bilancio e dell’impianto progettuale che servirà ad attivare i fondi del programma europeo conosciuto come Next Generation Eu.
Il risultato del voto ha in sostanza irrobustito l’attuale squadra di governo – e in particolare il suo garante Giuseppe Conte – rendendo sempre più difficile e improbabile l’arrivo di spallate e capovolgimenti di fronte. Forse ci sarà qualche aggiustamento nella compagine dei ministri (guai a parlare di rimpasto), ma nemmeno è detto dal momento che mai una così fragile rappresentanza ha prodotto un assetto tanto stabile. L’orizzonte del 2023 diventa sempre più credibile.
Ora poi che gli eletti saranno in tutto 600 e non più 945 chi possiede un seggio tende a tenerselo stretto perché sa che una volta perso non lo conquisterà più. Soprattutto tra i Cinque Stelle, calati nel consenso di due terzi e frammentati, la prospettiva di tornare alla vita del cittadino semplice provoca vere e proprie vertigini. Quando ci si abitua al gusto dello champagne difficilmente ci si riadatta all’acqua di rubinetto. E, dunque, avanti così fino al termine della legislatura.
A meno che… A meno che non ci s’impantani nelle sabbie mobili di cui sopra: per dirla in breve Nadef, Bilancio, Ngeu. Non sarà la politica a creare problemi al Premier e alla sua maggioranza, ma l’economia. Tanto più che si avvicina il tempo in cui scadrà la cassa integrazione per tutti e con essa anche il divieto di licenziare. Il che smentirebbe clamorosamente (e inevitabilmente) la promessa fatta in primavera che nessuno avrebbe perso il posto per via del Covid.
Insomma, le prove più difficili sono ancora da venire. E non c’è modo di superarle che rimettendo il Paese nelle condizioni di crescere. E non dello zero virgola a cui ci siamo abituati negli ultimi anni, ma almeno del 2% che non è un risultato clamoroso ma appena sufficiente ad aprire il cuore alla speranza di poter restituire quanto oggi si prende in prestito per fronteggiare l’emergenza e provare a ripartire. Una sfida ardua, ma non impossibile da vincere.
Tutto potrà filare liscio fino a che lo spread, che misura la fiducia dei mercati nella capacità di rimborso dei debitori, si terrà basso. Vorrà dire che le scelte e le mosse fatte saranno ritenute giuste o perlomeno adeguate allo scopo. Sarà come camminare spediti in quel sentiero stretto immaginato dall’ex ministro Pier Carlo Padoan senza sbandare e senza retrocedere. Da qui l’importanza di disegnare un percorso adatto alle nostre possibilità e gradito ai nostri partner.
Dovremo fare di necessità virtù. E mettere mano alla vera riforma in grado di consentire il passaggio ardito che ci apprestiamo ad affrontare: quella che ridefinisce le regole del gioco, oggi troppe e contraddittorie, senza cui andremo di certo a sbattere facendoci molto male e provocando il soccorso di chi ci dirà che cosa e come fare per rimetterci in riga. Senza buone istituzioni e buone prassi la buona volontà sarà impotente. Non per tutti e per sempre il tempo è galantuomo.