Sul Corriere della Sera del 25 settembre compare uno dei consueti editoriali di Ernesto Galli della Loggia in cui lo storico e opinionista magistralmente descrive la situazione catastrofica della scuola ed il vuoto totale di idee di coloro che la governano.
Purtroppo anche i grandi critici, Galli compreso, sono spesso incapaci di proporre delle idee vere di riorganizzazione del sistema. E l’Italia si riconferma come un paese ricchissimo di pregevoli analisti ed acutissimi critici, ma poverissimo di persone capaci di pensare e di attuare nella pratica il buon governo.
Sentiamo il racconto di Galli e poi le sue proposte.
“Che significa ‘investire nell’istruzione’? Che significa in concreto questa formula che sentiamo ripetere come un mantra da settimane, specie da quando è all’ordine del giorno la famosa ‘ripartenza del Paese’ sollecitata dal luccicante miraggio dei forzieri di Bruxelles? Investire nell’istruzione va bene, ma in che cosa in particolare? Nel diritto allo studio? Nell’edilizia? Nel Mezzogiorno? Nella riduzione dell’abbandono scolastico? Nelle retribuzioni degli insegnanti? Nel favorire corsi e sedi d’eccellenza? Nella digitalizzazione, nel promuovere all’università un settore disciplinare piuttosto che un altro? Nessuno si cura di specificarlo: il che come si capisce è la migliore premessa per la solita distribuzione di soldi a pioggia di cui noi italiani siamo specialisti”.
E prosegue:
“Invece dovremmo preliminarmente chiederci: siamo davvero sicuri che in vista di una buona scuola (mi occupo solo di questa, non dell’università) il problema principale, quello da cui ogni altro dipende, sia quello finanziario? Non lo credo. Più soldi sono necessari, necessarissimi per mille ovvie ragioni, ma la questione decisiva è un’altra. Sono gli insegnanti. Sono infatti loro la scuola”.
E fin qui non ci sono dubbi, ha totalmente ragione. Vediamo dunque le indicazioni che discendo dal giusto posizionamento del discorso.
Galli indica nella burocratizzazione una delle cause della perdita di ruolo magistrale del docente. La peculiarità della figura dell’insegnante è andata scomparendo, cancellata “soprattutto da una pervasiva ideologia che ha fatto della scuola una istituzione di tipo socio-assistenziale regolata da un democraticismo pseudobenevolo che si è fatto un punto d’onore nel considerare degli inutili ferrivecchi il merito e la disciplina”.
Non si capisce come mai gli insegnanti abbiano rinunciato alla loro autorevolezza e come potrebbero riprenderla. Galli suggerisce di imitare la Germania, dove al termine della scuola elementare i maestri indicano il percorso di studi successivo adatto al giovane in base ai risultati scolastici fino a quel momento raggiunti. E dà a questa prerogativa un grandissimo significato circa la responsabilità e l’autorevolezza dei docenti.
Premesso che a mio parere oggi sarebbe impossibile attuarla in Italia vista la drammatica caduta di stima verso i docenti, la mia domanda è: come mai i docenti hanno perso autorevolezza?
La risposta è semplicissima.
Avendo allontanato da se stessi qualunque procedura davvero selettiva sia sul piano cognitivo che su quello delle capacità concrete di esercizio della funzione docente (circa il 10% degli insegnanti ha gravi problemi psichici), avendo dato la priorità ai trasferimenti, alle pensioni facili, ai congedi per famiglia, avendo anteposto il proprio benessere sindacale alla missione dell’insegnamento e tutto ciò che essa comporta, si sono tolti da soli l’alloro che in passato ornava le loro teste cominciando dalla scuola elementare.
E il castigo è venuto, non solo con la perdita di stima e di autorevolezza. Gli insegnanti ed i presidi sono ormai quasi tutte donne – i maschi evitano ormai la professione docente sia per il basso stipendio che per la difficoltà di svolgere una funzione che ormai, come dice bene Galli, vede sempre più difficoltà nel “riuscire ad avviare delle giovani menti alla conoscenza e alla vita” – il lavoro è divenuto precario e mal pagato, il mestiere dell’insegnante è ormai un mestieraccio in balia delle polemiche giornalistiche.
Perché Galli non esamina il contratto di lavoro vigente in tutta Europa ma anche per i docenti delle scuole private italiane ed anche delle regioni e province italiane, dove l’insegnamento è un lavoro full time con 36 ore settimanali? Perché non esamina l’assurda mobilità annuale e nazionale dei docenti italiani, i trasferimenti, e non la paragona alla stabilità vigente in passato e altrove?
Nessuno può alla lunga essere più autoritario verso gli altri di quanto lo sia verso se stesso.
Gli insegnanti potranno riprendere in mano la loro funzione educativa ed autorevole solo accantonando la marcia sindacale che da 40 anni domina incontrastata la vita scolastica, partendo dal singolo istituto e salendo fino ai vertici del ministero.
Naturalmente questo non farà alcun male a quel 10-15% di insegnanti eroici che fanno più del sindacale dovere e che a fatica mantengono il minimo residuo di dignità alle scuole. Sono proprio quelli che la sarabanda sindacale ignora mentre difende tutto il rimanente.