Il caso Suarez mette in luce una problematica che per la sua soluzione, da tempo ormai immemorabile, è oggetto di discussione e anche di progetti, ma che poi alla fine, come tante altre, finisce nel dimenticatoio. Nel caso sollevato dal calciatore uruguaiano emergono diversi fattori: in primo luogo, la poca serietà, per non dire stupidità, dei vertici dell’Università di Perugia per Stranieri, tutti presi dal considerare un privilegio che una stella (come altre) del calcio svolga “l’esame” di idoneità alla lingua di Dante lì, mettendo in ridicolo la loro stessa funzione di insegnanti. Poi il fatto, ormai proprio quotidiano visti i continui episodi, di che cosa rappresenti al giorno d’oggi la cittadinanza italiana, visto che basta vivere altre realtà per rendersi conto di come venga presa letteralmente per i fondelli.
Il problema è vecchio e non riguarda solo i beniamini del calcio, ma masse intere che, complice la nostra eterna bontà e disponibilità a chiudere due occhi in nome di un libertismo senza regole (che però altri Paesi applicano), approfittano anche di vuoti legislativi incredibili per conquistare il nostro passaporto e la relativa cittadinanza, che ormai paiono avere lo stesso valore dell’iscrizione del Club di Topolino. Lo dico con rabbia, perché nonostante due anni fa denunciassi (non solo dalle pagine del Sussidiario) il fenomeno, poi venni a sapere che un progetto di decreto per restringere il passaggio di cittadinanza alla seconda generazione (in pratica dal bisnonno e non dal trisavolo sbarcato in cerca di fortuna in pieno ‘800) venne bloccato da un solerte deputato eletto all’Estero facendo balenare i 2 milioni e mezzo di voti e di fatto il tutto passò nel dimenticatoio, con tanto di annuncio da parte del politico per tranquillizzare i suoi votanti.
Difatti lo slogan imperante all’estero anche alle ultime elezioni nazionali italiane era quel “Passaporto subito!” che pare essere l’unica cosa che interessi le masse di discendenti di italiani: di cosa significhi la cittadinanza, la cultura e anche la lingua non frega nulla a nessuno e difatti lo si evince ogni qual volta si avvicina un’elezione o un referendum. Nessuno o pochi sono informati di cosa significhi anche perché dobbiamo registrare sia la mancanza della conoscenza della nostra lingua che di iniziative mediatiche per informare i tanti “connazionali” di cosa succede nel nostro Paese. Sono anni che tento di supportare almeno la traduzione sottotitolata in spagnolo, portoghese o inglese delle trasmissioni di Rai International, spesso interessantissime ma non ascoltate perché nella lingua di Dante. E le centinaia di professori di italiano all’estero che spesso, per non dire sempre, fanno una fatica immensa per sbarcare il lunario, a causa dei magri stipendi o della scarsa attività.
Allora iniziamo o no a costruire un ponte basato su di un progetto di breve e medio termine che abbia come punto iniziale una italianità vera e non fasulla perché ereditata da discendenti lontani attraverso non solo esami di lingua seri ma pure di cultura italiana? Il “materiale umano” lo abbiamo in abbondanza ai quattro angoli del mondo: riqualifichiamolo e utilizziamolo anche attraverso accordi con Governi di altri Paesi offrendo loro la possibilità dell’insegnamento dell’italiano (e la sua cultura) a partire dalla scuola secondaria. Già nel 1984, per esempio, in Argentina si firmò un accordo del genere che però rimase lettera morta o quasi al cambio di Presidenza in quel Paese.
Bene, riprendiamoci l’italianità, ma per fare questo iniziamo pure da noi stessi: abbiamo dimostrato in questo frangente sanitario di poter essere seri (e qui riprendo le dichiarazioni di Mattarella rispetto alle stupidate libertarie sparate dal Premier inglese Boris Johnson) e in effetti non è difficile accorgersene non solo in Italia, ma anche quando ci si imbatte nei tanti nostri emigranti attuali, giovani che al di fuori dei nostri confini spesso si inventano attività lavorative di successo che perseguono con grande serietà e dedizione, oltre alla classica genialità che ci contraddistingue.
Ma le nostre Istituzioni, che esistono e operano, siano anch’esse fedeli ai principi per cui sono nate, nel segno anche di un rispetto reciproco: non solo creando regole sulla cittadinanza, ma pure appoggiando al massimo le nostre artigianalità e imprese, spesso di un’imbattibile eccellenza, ma anche difendendole quando, in un logico contesto di mercato, tentano di espandersi all’estero ma vengono bloccate per interessi nazionali da Governi stranieri che poi pretendono che l’Italia, in nome del “mercato” si capisce, sia un supermarket dove effettuare i propri acquisti senza le regole che poi impongono nei loro confini. Di casi negli anni ce ne sono stati a tonnellate, ultimo quello dei cantieri “francesi” Stx acquisiti regolarmente da Fincantieri ma bloccati da Macron, caso già abbondantemente descritto.
E allora si dia inizio a questo processo cominciando proprio dalla cultura dell’italianità e da regole ben precise per “essere” italiani. Ne va non solo del nostro futuro, ma anche di quello delle generazioni di giovani che, nel Paese attuale, non lo trovano preferendo emigrare. Il “Piano Rinascimento” elaborato da Colao per ordine di questo Governo va benissimo: ma iniziamo a metterlo in pratica cominciando dall'”essere” italiani. Questo non significa chiuderci, ma aprirci al mondo attuale e futuro con le stesse regole che altri Paesi adottano in nome della propria nazionalità.