Quando c’è di mezzo il calcio, e in mezzo al calcio c’è la Juventus, la squadra più divisiva che esista, un ragionamento sereno rischia di essere offuscato dal tifo. In questo caso, però, comunque la si pensi, è innegabile che il caso Juventus-Napoli può essere il primo granello di una valanga che rischia di sommergere il calcio italiano.
Un burocrate (o più) locale con il concorso (più o meno) del Napoli, che non voleva giocare questa partita per ragioni insondabili (perché se avesse voluto l’Asl si sarebbe ritirata in buon ordine), ha messo in serio pericolo la stagione del pallone.
Per mesi, dopo la serrata di marzo, si era cercato un protocollo che permettesse la ripartenza. E questa era avvenuta, con la stagione arrivata a compimento. Ora è chiaro che con la ripresa, con la riconquista della vita (quasi) normale, qualcosa si sarebbe dovuto concedere al virus. Dopo il caso del Genoa, proprio per evitare interpretazioni, suggestioni e polemiche, era stata adottata ufficialmente la regola europea: con 13 disponibili, si va in campo.
Il Napoli ne aveva ben di più: gli assenti erano solo due, un titolare, Zielinski, e una riserva, Elmas. I rappresentanti della Lega, l’arbitro e la Juventus si sono presentati a Torino, il Napoli no. Dopo 45 minuti, come da prassi, la partita è stata giudicata non valida.
Il giornalismo, come prassi (a proposito) critica, è ormai defunto. I giornali e i media in genere tengono conto della diffusione geografica, dei social (dove si può venire travolti dal fango o peggio) e hanno timore della loro ombra. Nessuno osa un giudizio netto e in queste ore il cerchiobottismo regna sovrano.
Per me questo caso è più complesso di quello che sembra, ma in ogni caso il Napoli va punito due volte, una per non essersi presentato a Torino e una per aver aperto il vaso di Pandora che qualcuno deve immediatamente richiudere, altrimenti il calcio sarà in balia del primo medico della mutua. O di altri come lui.
Il campionato di calcio non può essere lasciato in mano ai provincialismi, ai narcisismi, al tifo. Ma anche alla buona volontà, quando esiste. In un amen è stato cancellato un protocollo che era stato stilato dopo mesi di estenuanti trattative. Non si può lasciare che ognuno faccia come crede.
Il Milan, con due positivi, la stessa situazione del Napoli, ha giocato due partite di campionato e due di Europa League, è andato da Crotone sullo Ionio a Vila do Conde sull’Atlantico. A Milano la Asl è meno preoccupata di Napoli? Vi rendete conto di quello che significa se ognuno fa come gli gira?
Sostengo da sempre che il calcio è lo specchio della nostra vita. E la vita, soprattutto quella di chi cerca di avviare un’impresa, un’attività anche minuscola, in questo Paese vive sotto scacco di piccoli potentati, di enti, di uffici, di sceriffi, di orticelli, di burocrati. Leggetevi “Volevo solo vendere la pizza” la tragicomica avventura di Luigi Furini, un giornalista di Pavia che aveva una sommetta da investire e provò ad aprire un locale dove servire la pizza al taglio: uffici, timbri, controlli, leggi e lacciuoli, sindacati, furbetti del cartellino. Alla fine si arrese. Questa è l’Italia bellezza, uno stato di burocrazia (quando non di polizia) dove le carte bollate ne uccidono più del Covid.
Nel 2006 andai a una delle ultime partite giocate ad Highbury, il leggendario stadio londinese dell’Arsenal. Dall’angusta tribuna stampa scorsi quello che mi sembrava il tetto del nuovo stadio. Chiesi conferma a un collega inglese. Ottenutola domandai: “Mi sembra che l’abbiano fatto ancora più in centro rispetto a questo, ma non l’hanno trovato un comitato di quartiere ostile?”. “Eccome”. “E quindi?”. “Hanno tirato sotto i dimostranti con le betoniere e costruito lo stadio nei tempi”.
Non sono un amante del banale “l’erba del vicino è sempre più verde”, ma in questo caso sì. Da noi non c’è mai nulla di certo, quello che è stato deciso viene messo in discussione subito dopo, i lavori si bloccano al primo alito di vento, alla prima contestazione, al primo burocrate con la luna storta. Da noi si prende una decisione ad alto livello, leggi protocollo Governo-Federcalcio-Lega, però poi lo si lascia in balia dei venti e di venti o più Asl.
Infine, l’ultimo aspetto: il ministro Spadafora è espressione di un movimento politico che non ha cultura industriale e disprezza i “padroni”, spesso dimenticando che costoro hanno migliaia se non milioni di lavoratori a busta paga. Nei confronti del calcio, poi, in questi mesi, il ministro e il governo hanno dimostrato un disprezzo snobistico, come se il football fosse solo un giocattolo per pochi ricchi viziati. Non è così, anzi, proprio il contrario.
E comunque la pensiate, un altro paio di queste Asl e il giocattolo si romperà.