Non mi bevo la teoria secondo cui gli artisti soffrono più intensamente, o più profondamente, di tutti gli altri. Chi crea ha la fortuna di aver trovato una valvola di sfogo per quello che, per il resto del mondo, è una condizione esistenziale”. La necessità dell’arte come forma di espressione e di condivisione con il proprio pubblico, queste sono le oneste parole di Jeff Tweedy raccolte nel suo libro autobiografico. I pensieri del leader dei Wilco spiegano solo in parte le ragioni per cui in questi mesi straordinari, ricchi di stimoli e di provocazioni, ci siano così tante uscite musicali. Alla ricca produzione discografica ha contribuito il lungo periodo di fermo a casa (magari con studio annesso) durante il lockdown, il blocco dei concerti live e i tempi più corti per la messa in commercio della musica digitale rispetto al supporto fisico.
In questo contesto, a sorpresa e neanche ad un anno di distanza da Closer than Together, gli Avett Brothers distribuiscono The Third Gleam, il terzo bagliore, un barlume, un luccichìo che vuole essere un invito a cercare, tutti insieme, il positivo anche in quello che avviene in questi tempi oscuri.
I fratelli Avett nel loro percorso musicale iniziato quindici anni fa hanno riservato uno spazio dedicato al capitolo Gleam nella loro discografia: nel 2006 il primo Ep, The second Gleam nel 2008 e poche settimane fa la pubblicazione di The Third Gleam. Nel consueto messaggio video di presentazione dell’album Seth ha tenuto a precisare che la realizzazione dell’album, per quanto attuale e sempre ispirato dalla realtà, è antecedente alla pandemia e ai fatti drammatici che hanno portato al #blacklivesmatter. “E’ semplicemente il suono mio e di mio fratello in una stanza che cantiamo di quello che è nella nostra mente e nel nostro cuore in quel momento”. I fratelli Avett pongono poi in risalto l’importanza di mettere a fattor comune le esperienze maturate: “E’ un’altra possibilità di condivisione in connessione con i nostri fratelli e sorelle e auspicabilmente unirci a voi nell’accorgerci di un granello di luce che brilla in quella che sembra essere una notte piuttosto lunga e buia”.
In The Third Gleam la musica è ridotta all’essenziale: un album semplice, sia nei testi diretti e autobiografici, che nel sound acustico legato alla tradizione folk. Parole che vogliono essere portatrici di speranza, un invito a guardare le cose da una prospettiva di fiducia anche se non mancano le incertezze, i dubbi e le ombre. Come detto con questo EP gli Avett tornano ai suoni delle origini, un folk tradizionale piacevole e orecchiabile, un back to basics in cui si apprezza l’ottima fattura del trio acustico (Scott, Seth e il fido bassista Bob Crawford) fatto di chitarre, basso e voci. Un ritorno al passato arricchito dalla consapevolezza e dall’esperienza maturata grazie all’ottimo lavoro svolto con Rick Rubin che li ha accolti nella sua American Recordings accompagnandoli al successo a partire dallo splendido I and Love and You del 2009. Il grande produttore ha poi forgiato e indirizzato il suono della band del North Carolina fino a portarli alle sperimentazioni di True Sadness e di Closer than Together in cui le armonie vocali si intrecciano con le chitarre acustiche ed elettriche e in cui intervengono a supporto Il pianoforte e gli archi rendendo il suono della band più ricercato e raffinato.
In the Third Gleam le tracce sono solo 8 per poco più di trenta minuti. Victory è il singolo d’esordio in cui si racconta come non sempre sia facile vedere l’aspetto positivo delle cose e di come talvolta sia necessario rinunciare alla vittoria personale per ritrovare la propria strada. I should’ve spent the day with my family è uno storytelling d’altri tempi in cui Seth racconta di come gli eventi drammatici della vita possano innescare la scintilla compositiva. Il fatto di cronaca citato nella canzone è una sparatoria che provoca la morte di un ragazzo e il giudizio che emerge è che le cose malvagie succedono tutti i giorni ma tragedie come queste ci fanno stringere ancora più forte alle persone care e a spalancare la domanda: “Tomorrow I think I’ll just try to keep the day wide open and as much as they will have me, be with people that I love”. In Prison to Heaven Mr. Avett è rinchiuso in prigione e per quanto sia consapevole che un tentativo di fuga lo porterebbe alla morte, il desiderio di libertà prevale. Alla fine della canzone, in un dialogo con il Padreterno, il protagonista confida la sua innocenza e supplica il conforto: “Caro Signore, la verità è che ho perso il senso da qualche parte lungo la strada. Se solo avessi un minuto lo spenderesti con un peccatore? Solo il necessario per darmi delle indicazioni verso Casa”.
In Back into the light, quando l’amore è nascosto o oscurato dalla propria nuvola, l’invito è a reagire e a fare: “un passo nella luce, un passo indietro nella luce”. Women like you è una dichiarazione d’amore semplice e diretta sia nella melodia che nei testi: “Sono stupito e grato al Signore e a tua madre per avere una donna come te”. Testo mieloso e poco rock se vogliamo, ma ancora una volta un suggerimento a riconoscere e a rendere manifesto l’amore che ci colpisce e ci cambia.
Evidentemente finita l’ispirazione per i titoli, Untitled #4 (quarta canzone della serie Gleam senza un titolo) è un elenco di cose che non servono più e un invito a liberarsi del superfluo: “I am happier with nothing”. Quel nulla, quel niente, è ripreso nel brano seguente I go to my heart: “What do I get when I find out I am nothing”? Sono ancora degli interrogativi ad invadere i testi: “Chi sono io senza il mio nome”? “Come fermo il vuoto che cresce”? La band suggerisce di cercare risposta nel proprio cuore oppure ad inginocchiarsi: “I go to my heart or my knees”.
La domanda che fa da filo conduttore per tutto The Fire, la splendida canzone conclusiva dell’EP, è: “What do you see in the fire”? Questo interrogativo se lo pone un ragazzo e il suo entusiasmo con cui spaccherebbe il mondo, un carcerato e il suo pessimismo, una collegiale e le sue insicurezze, un giovane prete e i suoi dubbi sulla vita, una novantenne e la sua saggezza. Tutti stanno davanti a questo interrogativo con risposte e attese del tutto diverse.
L’ultima persona interpellata è una persona cara all’autore, probabilmente la moglie, la quale nel fuoco non vede risposte ma altri interrogativi: “C’è qualcosa di non detto lì nei tuoi occhi, un dolore o un amore, non riconosco. Faccio meglio a chiedertelo adesso prima che muoia”. Il fuoco, la fiammella, The Gleam, che tiene viva la speranza, non muore mai.