Non vi è dubbio che Piccolo mondo antico, il capolavoro dello scrittore vicentino Antonio Fogazzaro, sia nato in “un’ora felice”, come scrisse Francesco Flora. Pubblicato nel 1895, nella piena maturità dell’autore (1842-1911), si colloca al centro dell’opera di Fogazzaro, dopo gli esiti psicologici-estetizzanti di Malombra e le successive contaminazioni teologiche con il modernismo, espresse da Il Santo, messo all’Indice dalla Chiesa, al cui parere il cattolico Fogazzaro rispose con l’ubbidienza. Al libro di Fogazzaro si ispira il bel film che Mario Soldati realizzò nel 1941, a guerra iniziata, con grande successo di pubblico.
A sua volta, al centro di Piccolo mondo antico, vi è il celebre episodio della morte della piccola Ombretta, su cui hanno pianto generazioni di lettori. Esso funge da catalizzatore per far esplodere i contrasti tra i coniugi: Franco, di famiglia nobile, cattolico convinto, è un’anima bella, idealista, sognatore, ma anche fiacco e irresoluto; Luisa, di condizione modesta, è una testa forte, orgogliosa e tenace, più incline alla giustizia che alla carità cristiana. Il dramma del romanzo è quindi un contrasto tra le anime, che si amano, ma non si comprendono, perché troppo diverse.
All’inizio del loro rapporto, pur segnato da difficoltà economiche e dalle ostilità della perfida marchesa Maironi, nonna di Franco, i contrasti tra i due restano nell’ombra: la nascita della figlia Maria-Ombretta, amabilmente vezzeggiata dallo zio Piero, angelo tutelare della famiglia, rinsalda ulteriormente la loro unione. Ma su questo idillio, già incrinato, si abbatte la tragedia: la piccola Ombretta scivola e annega nelle acque del lago, mentre la madre si era recata incontro alla marchesa per reclamare giustizia contro le persecuzioni della vecchia, che ha occultato un testamento favorevole al nipote; questi, per non pregiudicare il buon nome della famiglia, aveva deciso di non intervenire. Nonostante il prodigarsi di tutti, la bimba muore, tra lo strazio inenarrabile della madre, mentre il padre è lontano per lavorare in giornale patriottico, in Piemonte, al fine di aiutare la famiglia.
Davanti al dramma, Luisa reagisce con disperazione e poi con cieco furore. Respinge qualsiasi idea di sopravvivenza ultraterrena: nel suo dolore, sacro e folle, abbraccia la bambina morta; non esiste il paradiso, il mio paradiso è qui, grida. Inconsolabile, passa le sue giornate presso la tomba, si rifugia nelle pratiche spiritiche.
Informato che la figlia è gravemente ammalata, Franco, ricercato dalla polizia austriaca per la sua attività cospirativa in favore dell’indipendenza italiana, ritorna avventurosamente a casa attraverso sentieri di montagna. In uno dei passi più struggenti del libro, vediamo Franco, nascosto tra la vegetazione, ascoltare la conversazione tra le guardie che commentano, indifferenti, la morte di una bambina di tre anni: “l’età di Maria”, pensa, con un sussulto ancora incredulo e speranzoso. Giunto a casa, non può più nascondersi la tragica realtà. Ma, a differenza della moglie, si affida al volere divino. In ginocchio di fronte al Mistero, Franco legge l’avvenimento come un segno divino anche per lui, “per la sua vita miseramente vuota di opere, piena di vanità, mal rispondente alle credenze che professava”. Gli parve che il Signore dicesse: “ti addoloro ma ti amo, aspetta, confida, saprai”.
Ora Luisa pensa invece che tutto sia frutto di una volontà malefica, che ha preordinato la morte della bimba. La fronte di Franco si irradia di una luce interiore, gli occhi ardono di vigore vitale; la fronte di Luisa si oscura sempre di più. Franco riparte per arruolarsi per la guerra contro l’Austria, a fianco dei piemontesi. Luisa è pietrificata. Non sento più niente, dice, sono un sasso. Confida all’amica Ester, con calma spettrale: “io non credo più in Dio. Prima credevo che ci fosse un Dio cattivo, adesso non credo più che esista”.
Seguono tre anni di lontananza, alla fine dei quali Franco scrive a Luisa: si appresta a combattere, partecipando alla guerra di indipendenza del 1859, potrebbe morire. Non vuole vederlo un’ultima volta? A Lugano! Luisa, esaurita la speranza nelle evocazioni, pensa di morire lasciandosi annegare. È lo zio a scuoterla e a convincerla a incontrare il marito. Luisa sta perdendo non solo la fede, ma anche il buon senso. La donna, vinta, accetta.
Nelle ultime pagine, nella trasparenza serena delle montagne, traluce “l’oro pallido del sole”. I due coniugi, straziati, si ritrovano tra le braccia l’uno dell’altra. Con loro, guardiamo felici “il trionfo del sole, la fuga delle nebbie, la gloria delle montagne”. Lo zio, pieno di umanità, dolente e magnifica, sorride: potrebbe capitare un’altra Maria. L’abbraccio tra l’uomo e la donna avviene nel silenzio grande delle cose. La morte della figlia è stata occasione di un cammino di cambiamento reciproco e di riconciliazione. Lo zio Piero ha assolto la sua funzione, può congedarsi sereno dalla terra, fra poco nascerà una nuova vita. Luisa sarà madre una seconda volta. Il Destino si compie. Una pagina si chiude, un’altra si apre.