Riunioni d’emergenza, convocazione straordinaria del comitato tecnico-scientifico, la sensazione chiara è che la situazione stia degenerando rapidamente e rischi di sfuggire di mano. L’allarme suona innanzitutto per la pandemia e subito dopo per la ricaduta sulla vita delle persone a cominciare dal lavoro e dalle attività economiche. Ma volge al brutto anche il cielo sopra Bruxelles, mentre il Governo non ha ancora annunciato le scelte concrete in base alle quali chiede i finanziamenti per la ripresa.
Cominciamo naturalmente dal Covid-19. Per quel che sappiamo, il Cts ha preparato tre scenari. Nel primo (definito giallo), l’Rt è poco sopra a 1 (oggi in 13 regioni), il virus corre ma è gestibile perché gli ospedali sono ancora capaci di difendersi, dunque gli interventi andranno dallo stop su base oraria a bar e palestre alle zone rosse locali. Il secondo (arancione) prevede una crescita dei contagi (Rt tra 1,25 e 1,5) con rischi di tenuta degli ospedali, a questo punto scattano chiusure tra regioni o intraregionali, eventuale blocco di attività produttive con particolari situazioni di rischio e se necessario zone rosse con lockdown temporanei di 2-3 settimane. Il rosso comporta un ritorno al confinamento generalizzato fino al 31 marzo 2021. Giovedì dovrebbe essere varato il prossimo decreto, finora si è ragionato seguendo lo scenario giallo, ma nei prossimi giorni potrebbe già avvenire il salto verso l’arancione, di qui la fretta di riunire subito il comitato tecnico-scentifico. Vedremo che cosa uscirà oggi.
Escludiamo per il momento l’allarme rosso e immaginiamo che di qui a dicembre dovremo muoverci con un Rt vicino a 1,5; che impatto avrà sulle attività e sull’economia? Chiusure temporanee, regionali o intraregionali, ma anche di città popolose e importanti, provocheranno un altro colpo duro, più al settore terziario che a quello manifatturiero, se i lockdown mirati colpissero le aree maggiormente produttive del Paese le ripercussioni sarebbero ancor più pesanti. In ogni caso, l’impatto psicologico sarebbe consistente, tornerebbe la paura, la reazione più immediata e anche più logica sarebbe quella di non spendere, meno che mai investire, tenere i soldi sotto il materasso. Gli effetti macroeconomici sarebbero consistenti non solo nell’immediato, ma anche nel medio periodo. Altro che rimbalzo o rimbalzino.
I dati positivi venuti ad agosto mostrano che esiste per fortuna una grande potenzialità del made in Italy e anche i consumatori hanno lanciato parecchi segnali della loro voglia di ricominciare. Un lockdown sia pur a macchia di leopardo sarebbe una doccia gelata. Si capisce, dunque, la cautela del Governo, si comprendono persino le incertezze manifestate, tuttavia oggi è ancor più importante che vengano messaggi chiari e rassicuranti, non con un ottimismo cieco e sciocco, ma facendo appello alla razionalità delle scelte, quelle individuali alle quali ha fatto riferimento anche il presidente della Repubblica, e quelle collettive, economiche e politiche. Da questo punto di vista sarebbe davvero importante se il Governo, anzi il presidente del Consiglio in persona, aprisse le porte al più ampio confronto, quindi anche all’opposizione, mettendo tutti i partiti (in particolare la Lega, visto il diverso atteggiamento di Forza Italia e anche di Fratelli d’Italia) di fronte alle proprie responsabilità.
Il terzo allarme viene dall’Unione europea. I Paesi che resistono al trasferimento di risorse e a una certa condivisione della sovranità, hanno spostato il loro bersaglio dal fondo al bilancio europeo. Le due cose sono strettamente legate perché la garanzia di successo del Next Generation Eu dipende dall’aumento delle risorse proprie nel bilancio comunitario. Al contrasto tra governi si è aggiunto quello istituzionale tra la Commissione e il Parlamento che chiede di aumentare ben 15 capitoli di spesa. Il negoziato si è interrotto, ma riprenderà; secondo il ministro Gualtieri, che di rituali europei se ne intende, si tratta di “normali schermaglie”. Anche se, con tutta probabilità, si fermeranno gli orologi per l’ennesima volta e si troverà un compromesso prima dell’alba, le acque s’intorbidano e Gualtieri che sta preparando la Legge di bilancio si muove in una infida palude.
Non c’è dubbio che la variabile europea sia decisiva. Tanto quanto quella sanitaria. Se la congiuntura peggiora, le proiezioni presentate dal ministero dell’Economia e dal Governo varranno ben poco. Proprio per questo è arrivato il momento di mandare segnali chiari e concreti all’Italia e all’Ue. Le macerie sono già davanti a noi, potranno solo aumentare. Tuttavia la pandemia ci ha mostrato anche linee di tendenza, spinte di fondo che consentono di capire cosa ha bisogno il Paese e dove debbono andare gli italiani. Quindi si può (e si deve) ragionare non solo per sommi capi e per generici capitoli, ma con indicazioni abbastanza precise sul che fare.
Il probabile peggioramento della situazione mette il Governo di fronte alla necessità di cambiare marcia, con realismo e consapevolezza dei rischi, con coraggio e determinazione, cercando un più ampio consenso. Una ricerca che non può essere lasciata a petizioni di principio o a sforzi pur lodevoli di buona volontà.